mercoledì 8 maggio 2013

Il libro del mese: Sinistre Presenze

E' con estremo piacere che vado a parlare di una antologia nostrana di racconti horror (o per meglio dire, "sinistri", perché al suo interno si trovano anche curiosi intrecci di genere, tipiche della narrativa "weird"), curata da due carissimi amici - e compagni d'avventura nel progetto Mellonta Tauta - Walter Catalano e GianFilippo Pizzo.
Appena uscita per i tipi di Bietti, come la precedente antologia di fantascienza, curata dai medesimi, Ambigue Utopie (Pizzo da solo ha invece curato Notturno alieno, dedicata al noir di fantascienza), la presente raccolta Sinistre Presenze cerca di collegare a tematiche sociali e politiche chiaramente orientate (ma in certi racconti, neppure poi troppo) un genere, l'orrore, solitamente abbastanza distante da una tale classificazione (come sottolinea sagacemente - ma forse rifacendosi troppo soltanto al cinema - Valerio Evangelisti). I curatori stessi, poi, nella prefazione al volume, si impegnano nel divulgare le varie fasi della genesi dell'antologia e delimitarne scopi e intenti, allargatisi anche di molto rispetto all'intento originario.
Il risultato è una splendida raccolta di diciassette racconti e quasi 400 pagine, da leggersi veramente di un fiato, perché la qualità dei racconti e la varietà del ritmo e dei temi lascia filare via le pagine una dietro l'altra con un desiderio di leggere ancora che non provavo da parecchio tempo. Senza dubbio l'orrore, nella sua miriadi di varianti e declinazioni, è il mio genere letterario preferito e quindi partivo per così dire avvantaggiato nella lettura, ma francamente non mi aspettavo di lasciarmi coinvolgere così tanto e da praticamente tutti i racconti (che tra poco sviscererò nel dettaglio - visto che in questa sede non ho certo problemi di convenienza e di spazio).
Lasciando ad altre collocazioni più letterarie una disamina attenta e una discussione su cosa sia l'horror come genere letterario (o cinematografico) - per esempio alla presentazione pubblica della presente antologia sabato 11 maggio alle 14 al Florence Fantastic Festival, o il 23 maggio alle 19 presso il punto Einaudi di Via Guelfa (sarò presente in ambo i casi, quindi venite a discutere del tema!) - mi limito a dire che per me l'horror è un genere che deve smuovere dentro il lettore, deve scuoterlo nelle fondamenta, devo toccargli l'animo, stringergli le viscere. Per questo, secondo me, il racconto horror ideale deve essere breve, se non brevissimo; deve essere una stilettata al costato, capace di infliggerti un dolore improvviso, inatteso, senza essere letale, per lasciarti poi il tempo di riflettere prima della fine. Deve essere selvaggio e indomito come una donna naturalmente bella, non la bellezza bisturata delle riviste patinate, resa tale dalla chirurgia estetica. Voglio dire: per il racconto horror non serve il labor limae oraziano, in altri casi da me immensamente amato. Di un racconto horror apprezzo più di ogni altra cosa l'idea, la sua capacità di toccarmi nel profondo, di solleticare una corda che non sia già stata toccata, oppure, in caso lo sia già stata, che sappia rimandarmi una sensazione di piacevole deja vu. Un racconto horror non deve annoiare, non deve allungare il brodo. Deve lasciare il segno, senza bisogno di fronzoli. Certo, per tornare all'esempio estetico precedente, una donna molto ben rifatta può risultare comunque estramemente gradevole all'occhio e quindi anch'ella piacevole e accattivante. Ma per me resta una seconda scelta in presenza di una bellezza all-natural. E' quello che accade nella presente antologia, che comprende in abbondanza esempi di entrambe le tipologie: alcune saette al cuore capace di inebriarti il cervello al primo sguardo e molte altre frecce dai colori sgargianti, dal piumaggio ridondante, dalle linee programmate a tavolino e testate in galleria del vento per aumentare la loro efficacia. Al termine della lettura la nostra faretra è piena di frecce e la tentazione è quella di tenerle tutte o quasi, perché la loro qualità artigiana è comunque notevole; ma per essere sicuri di colpire qualsiasi bersaglio, alcune sono migliori di altre. Andiamo a cercarle insieme a voi, se volete farci il piacere di accompagnarci nella lettura.
Il volume si apre con "Emocrazia" di Alessandro Vietti, racconto politico su vampiri, diversamente vivi e altro, che ricorda in piccola parte un film poco conosciuto, ma particolarmente divertente, Tramonto (Sundown), film diretto nel 1990 da Anthony Hickox e David Carradine e Bruce Campbell fra gli interpreti.
Segue "Un caso dimenticato della campagna toscana" di Francesco Troccoli, che ci porta invece agli intrighi della DC nel rosso appennino tosco-romagnolo, tra frankenstein e tristi inquisitori.
 "L'autostrada dei cani perduti" di Dario Tonani è uno di quei colpi allo stomaco che non ti scordi, piccolo gioiellino, il mio preferito dell'intera antologia.
"Da sotto" di Stefano Roffo ci porta nelle miniere della Slesia, per un interessante divertissement multi-genere, con un'interessante idea (non so dire quanto originale - se del tutto farina del suo sacco complimenti) sulla genesi dell'iconografia tradizionale della Morte.
"Escuela de Mecanica" di Franco Ricciardiello ci porta dalle parti de La notte delle matite spezzate, per un horror realistico e a tratti realmente molto crudo, sulle efferratezze del regime militare argentino a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta (quello del mondiale di calcio "regalato" all'Argentina di Kempes e Passarella e alla disfatta delle Malvinas), accompagnato da una rilettura del golem praghese.
"La melma dell'abisso" di PierFrancesco Prosperi recupera molti dei temi e dei personaggi del gotico tradizionale (Hyde, Jack lo squartatore) ci unisce un pizzico di Rip Van Winkle e ci conduce poi tutti all'Heysel.
"I suoni della morte" di GianFilippo Pizzo recupera invece il tema delle "infermiere della morte" e ci fa fare conoscenza con una certa Angela (nomen omen... il fatto che sia tedesca e che si pronunci Enghela ci fa pensare a un'altro tipo di infermiera della morte... quella del lavoro e della nostra indipendenza, ma lasciamo perdere, siamo fuori tema) e i fantasmi delle sue vittime.
"Come fiori recisi dal turbine" di Michele Piccolino è la seconda saetta che colpisce dritto al cuore: una delicatissima e straziante storia di fantasmi "stradali", un epicedio dolce e commovente, indimenticabile.
"High School Zombie" di Alessandro Morbidelli recupera l'inflazionato tema degli zombie, dandone una variante non priva di un suo fascino perverso.
"Se un angelo ride, un diavolo piange" di Luca Ducceschi è un lungo e schizofrenico (come lui stesso si definisce nelle note biografiche) affresco stile La nona porta, che mescola di tutto e di più, in una specie di avventura gioco-ruolistica fra uomini in nero e congiure vaticane, che alla fine si risolve in modo forse un po' troppo tirato per i capelli (ma il viaggio compiuto nella sua lettura resta divertente).
"Alla testa del paese" di Alessandra Daniele (una delle due donne presenti nell'antologia, troppo poche e una delle pecche più evidenti di una raccolta di racconti altrimenti quasi irreprensibile) pur essendo breve come piace a me, ha il difetto della barzelletta già sentita: il gioco di parole del titolo e il richiamo al finale della Notte dei Morti Viventi (e più in generale all'ideologia romeriana riguardo al potere e a chi veramente lo detiene) è un po' troppo telefonato. Resta comunque ben scritto e con dei momenti splatter.
"Le cripte del non riposo" di Walter Catalano ci trasporta negli orrori del mondo reale e delle cripte del potere, un monito forse un po' troppo didascalico sul sesso e sulla morte, e forma quasi un binomio con il precedente racconto di Ricciardiello, ma resta disperatamente pessimista sull'uomo e la sua malvagità intrinseca, privo della redenzione di una vendetta implacabile, seppur tardiva.
"Chi la bellezza ha visto negli occhi" della coppia Stefano Carducci e Alessandro Fambrini, tocca nuovamente il tema della sofferenza, della tortura, incastonandolo in un contesto più ampio, con riferimenti storici all'occupazione fascista dell'Istria e alle guerre balcaniche degli anni Novanta, ma focalizzato su di un mondo dentro il mondo che, pur distantissimo in realtà per fini e struttura, mi ha richiamato Lovecraft e i suoi deliri.
"Le sabbie di Satana" di Andrea Carlo Cappi recuperano ancora una volta l'ormai celeberrimo padre Stanislawsky e basta il nome per assicurare il lettore che i minuti trascorsi in compagnia del personaggio non saranno sprecati.
"La porta degli annegati" di Denise Bresci è una cupa storia di fantasmi, legata al tema dell'immigrazione clandestina, delle navi dei disperati, breve e dal finale forse troppo scontato, uno dei racconti meno interessanti dell'antologia.
"Simposio. Italia d'inverno" di Claudio Asciuti è una specie di delirio colto e ipercitazionista, inizialmente indigesto per il curioso modo di scrivere dell'autore (che non usa maiuscole dopo le interpunzioni forti e le limita ai nomi propri), poi via via più godibile, ma decisamente fine a se stesso, un banchetto platonico di luoghi comuni sulla politica del nostro Paese e sul letterato fantastico (o sul cinefilo fantastico, o sull'amante del fumetto... ci si può mettere più o meno chiunque appartenga alla nostra cerchia), che alla fine non effettua alcuna azione maieutica sul lettore e passa via relativamente agile, senza strascichi di riflessione.
"Aceite de Muerto" di Danilo Arona chiude il volume, con il suo negozietto bazaar dell'insolito e l'olio di morto di una martire colombiana.

Terminata la rassegna e la lettura, non posso non consigliare questo volume a tutti gli appassionati di narrativa fantastica fra i miei lettori. Se si allontana per un istante quello sorta di snobbismo al contrario che fa sì che i narratori italiani del fantastico siano una sorta di figli di un dio minore, appartengano a un ghetto periferico che li distanzia dalla "grande" narrativa americana o comunque anglosassone, e ci si immerge in queste letture, ci si accorgerà quasi subito di quanto siano bravi questi scrittori, quanto molteplici siano le loro idee, quanto spesso non siano intaccate e annacquate dalla globalizzazione - anche lessicale - che investe tutto il nostro mondo, quanto possano toccare dentro di ognuno di voi, corde che la massificazione culturale finora non vi aveva dimostrato esistessero. Poi si può discutere lungamente sul risultato "sociale" della presente antologia, se i curatori e gli autori presenti al suo interno abbiano raggiunto lo scopo. Quel che è certo è che la raccolta è notevole, migliore di molte altre contemporanee raccolte straniere costellate di grossi nomi, e che alla fine non ci si pente un istante del tempo trascorso nel leggerla. Spero ne vengano altre. Molte altre.


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