venerdì 1 marzo 2013

Un pulp al giorno: Vultures of Whapeton

Ed eccoci giunti a parlare di uno degli autori simbolo dell'epoca dei pulp, Robert Erwin Howard, il vate texano autore di Conan, di Solomon Kane, Kull di Valusia e molti altri straordinari personaggi che hanno segnato un periodo e modellato l'immaginazione di molti di noi.
Praticamente ignoti in Italia, ma assolutamente straordinari, sono i suoi numerosi western, uno dei quali, Vultures of Whapeton, è il centro di questo nostro post. Apparso postumo nel dicembre del 1936, sul numero 4 della rivista Smashing Novels, è un romanzo breve di straordinaria intensità e potenza visiva, un condensato del miglior Howard, quasi un fantasy con le pistole e i fucili al posto delle spade. Ambientato in un mondo brutto, sporco e cattivo, dove il migliore di tutti ha la rogna, è la storia di un pistolero, Jim Grimes, che si trova a ricoprire il ruolo di vice-sceriffo in un paese minerario, Whapeton appunto, dove lo sceriffo e la sua combriccola sono in realtà dei malviventi, gli avvolti del titolo, che si arricchiscono ai danni dei poveri abitanti del luogo, mantenendo il potere con lo spauracchio del possibile arrivo dei banditi, che sono poi loro stessi. Grimes, che presenta tantissimi punti di contatto con Conan il barbaro ed è dotato di un suo codice d'onore tipicamente western, si adegua suo malgrado alla situazione, finché per amore per la bella Glory, ballerina del saloon del paese, cercherà di cambiare la situazione. Non ci riuscirà in toto, visto che avrà sì la sua vendetta e i malvagi banditi pagheranno il fio delle loro colpo, ma non avrà l'amore di Glory, uccisa vigliaccamente dal perfido sceriffo.
Quasi uno spaghetti-western ante-litteram, il romanzo breve di Howard mostra molte delle caratteristiche migliori e peggiori del genere, dal linguaggio stereotipo e le frasi fatte, a una cattiveria di fondo, a uno sguardo disincantato e negativo sull'uomo e sul mondo, che ha poco o nulla dell'epica western che proprio in quegli anni iniziava a mostrarsi sugli schermi hollywoodiani, e sembra invece avvicinarsi agli scenari tarantiniani (filtrati in realtà da decine e decine di pellicole nostrane). Più Django che John Wayne, Grimes è un "personaggione", il modello classico dell'eroe howardiano, tutt'altro che uno stinco di santo, ma dotato dell'onore del cowboy come lo intende Howard, quello del texano dell'Ottocento come del primo Novecento, l'uomo che pone la donna su un trono di cristallo, che la adora e la teme a un tempo, pronto a tutto per difenderne la vita e l'onore, ma comunque incapace di comprenderla in pieno, incapace di distinguerne il ruolo di madre, sposa o amante, di sorella o di figlia, psicologicamente dominato da essa, ma impossibilitato ad affrancarsene. Grimes è un eroe colluso con il potere, per lungo tempo limitatosi ad opporre un minimo di resistenza passiva, che vede la retta via solo attraverso la donna-angelica (impersonata, non a caso, da una ballerina di saloon, una donna "facile", con la quale inizialmente ci si può approcciare con minor timore), ma si redime troppo tardi, senza lieto fine, senza possibilità future.
Storia dura, sporca e cattiva, come abbiamo detto, un western modernissimo, pur se vecchio di quasi ottant'anni, priva di luce, nera come il carbone, bella come un diamante.
Parleremo ancora di Howard e dei suoi scritti meno noti in altre pagine del nostro blog. Seguiteci ancora!

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