lunedì 25 marzo 2013

Un pulp al giorno: Mistress of the Beast

Pesco ancora dalle pagine del primo numero di Horror Stories per questo racconto di Arthur Leo Zagat (autore molto celebre negli anni Trenta nei campi più disparati, che avevamo già incontrato nel nostro cammino di questo blog), che riprende e aggiorna il mito di Circe.
Un gruppo di cacciatori si perde all'interno di una pericolosa palude e si trova a dover passare la notte su di un'isoletta circondata da una sinistra fama, in quanto è impossibile trovare la strada fuori dal luogo se non quando i raggi del sole avranno allontanato la fitta nebbia delle tenebre notturne. Il gruppo è formato da quattro adulti e un ragazzino (il narratore), che trascorre la notte preda del delirio febbrile. Nel corso della notte, però, i quattro uomini, a causa del patto scellerato di uno di loro con una specie di strega maligna dall'aspetto di giovane ninfa, troveranno ognuno un orrendo destino, trasformati in porci e costretti ad annegare nelle acque limacciose della palude. Anche l'uomo che aveva attirato i compagni nella trappola, per rispettare il patto che aveva stretto con l'entità maligna, alla fine si concederà alla strega e morirà come gli altri, pur di salvare la vita del giovane e incolpevole adolescente.
Discretamente scritto e decisamente meno soffocato dal sadismo e dalla perversa prurigine che imperversa negli altri scritti del periodo e del genere, il racconto soffre di troppi punti non adeguatamente spiegati e di una trama piuttosto derivativa e datata. Si lascia comunque leggere senza troppi rimpianti.

domenica 24 marzo 2013

Rock Contest: Breaking the law cover

Visto che ho il pomeriggio libero, ho deciso di lanciare una nuova rubrica (tanto ne avevo poche, eh?), dedicata ai metal maniacs che seguono i miei deliri blogger.
Vorrei lanciare un contest - dovete commentare e votare, altrimenti non vale - riguardante alcuni celebri pezzi della storia del metal, e in particolare, quella che seconda voi è la migliore cover del pezzo prescelto.
Partirei con uno dei classici assoluti del British Steel: Breaking the Law dei mitici Judas Priest.
Aldilà del fatto che l'originale è ovviamente inarrivabile (potete postare il contrario se volete ricevere una serque di improperi variopinti), ecco alcune proposte alternative

La versione degli Stryper (chi si ricorda del "metallo" cristiano anni Ottanta?)


Quella di Doro (gran pezzo... in tutti i sensi!)

Quella degli Ensiferum (a me noti solo di nome)

Quella dei Motorhead

E per finire quella dei Firewind (era in un cd gratuito su Metal Hammer...)

Scegliete la preferita. La mia è a mani basse quella di Doro

E si ti arrivasse un proiettile in faccia?

E' la poco probabile premessa di una breve serie televisiva dello scorso anno, Bullet in the face, appunto, improntata su di un fumettistimo pulp decisamente sopra le righe, a metà fra il fumetto francofono (e il cinema franco-ispanico) dell'ultimo ventennio e ispirazioni pulpeggianti pseudo-tarantiniane.
Il pilot vede Gunther Vogler, un killer rockettaro tradito dalla compagnia di avventure erotiche, che gli spara al volto dopo una mirabolante rapina, piena di sparatorie ad effetto, salvato dalla polizia e dotato dei lineamenti del poliziotto che ha ucciso, perché possa infiltrarsi nell'organizzazione criminale che serviva, per vendicarsi di chi lo aveva ridotto in quelle condizioni, e al tempo stesso aiutare le forze dell'ordine a liberarsi del pericoloso criminale alla guida di tutto quanto, Heinrich Tannhauser. Breve ma intenso, ricco di caratterizzazioni al limite del caricaturale (dallo stesso Vogler, a Tannahauser che riecheggia il Blofeld di 007, al compagno del poliziotto ucciso, che piange disperato ogni volta che rivede il volto dell'amico scomparso, adesso diventato la faccia di colui che lo ha ucciso, etc. etc.) e ritmato su stilemi visivi e di sceneggiatura che richiamano  i film di De La Iglesia o di suoi epigoni, è un telefilm che promette piuttosto bene, e prima o poi mi vedrò anche le restanti cinque puntate della serie (che dovrebbe avere un seguito la prossima estate).
Non male come riempitivo, magari per una serata a base di uno o due episodi di telefilm più corposi.

Un pulp al giorno: Music of the damned

Beh, ormai in effetti il titolo non ha più molto senso, visto la iato temporale intercorso dal mio ultimo post sul tema, ma riprendiamo con cadenza da decidere, una rubrica che mi diverto molto a fare. E ripartiamo con il primo numero di un altro degli shudder pulps divenuti epici della metà degli anni Trenta del secolo scorso: Horror Stories. E il primo racconto del primo numero è questo breve romanzo avventuroso, venato di sadismo, più che di soprannaturale, dovuto alla penna di Francis James, pseudonimo di James Goldwaithe, autore pulp uscito già nei primi anni venti, ma esploso proprio con gli shudder pulps, Terror Tales e Horror Stories in primis.
La vicenda vede una sorta di novello Indiana Jones dei poveri impegolarsi in una cupa vicenda di divinità inca tornate dal regno delle ombre per instaurare il loro depravato dominio di terrore, fatto di non morti dalla pelle gialla, l'alta statura e sette dita delle mani, lascive sacerdotesse dalla pelle ramata, musica infernale che scatena pulsioni sessuali irrefrenabili e malcapitate figlie di professori d'archeologia, cadute preda delle voglie innominabili di tali divinità. Pretesto, tutto questo, per una storiella decisamente datata, costruita con cliffhanger di pessimo livello, scrittura appena passabile, nudi e torture a ogni passo, eminentemente gratuiti e ben poco efficaci per i lettori di oggi.Come di consueto (l'abbiamo già visto in numerose delle altre storie presentate in questo blog), l'apparenza sovrannaturale degli inizi svanisce poi del tutto in un finale in calando (e qui decisamente molto scarso), che lascia spesso basito il lettore attuale (si capisce subito chi sia il colpevole della macchinazione e i modi in cui opera sono parecchio poco plausibili).
Non certo il migliore degli inizi, per una delle capostipiti della narrativa pulp sadico-orrorifica del periodo, ma si spera in molto meglio con il passare delle storie

sabato 9 marzo 2013

Un pulp al giorno: Princess of Burning Death

Titolo parzialmente fuorviante (non si capisce esattamente chi sia la principessa del titolo) per un altro racconto lungo preso dalle pagine del numero di marzo del 1940 di Dime Mystery Magazine.
Scritto da Wyatt Blassingame, uno degli autori più prolifici del periodo (circa 600 racconti pubblicati) e che avevamo già incontrato tempo prima, è un mystery solo leggermente imparentato con gli shudder pulp di gran moda (per alcune scene, del tutto superflue alla trama, aggiunte nel finale della vicenda).
Si tratta di un giallo misterioso riguardante l'orribile morte per combustione interna - apparentamente dovuta a una sorta di acido - di numerosi individui, inizialmente non collegati fra loro, poi riguardanti un ricco proprietario di scuderia ippica e dei suoi familiari. Dopo alterne vicende, il detective insonne Joe Gee (personaggio seriale, caratterizzato dall'impossibilità di prender sonno finché non risolve il caso in cui è impegnato) scoprirà che i crimini sono compiuti per vendetta dal cognato del ricco defunto, ridotto a uno scherzo di natura per una caduta da cavallo da adolescente, che è riuscito a creare un composto chimico bi-componente che si attiva quando viene aggiunto il secondo catalizzatore.
L'ambientazione e lo sviluppo della storia con i suoi molti personaggi, la villa, la cena dove si svelano molti misteri, etc, concorrono a creare un'atmosfera da giallo-horror all'italiana degli anni Sessanta/Settanta, che rende il racconto, per quanto abbastanza datato, piuttosto divertente da leggere

Un pulp al giorno: When the dead return

Dopo un paio di giorni di assenza, torna la rubrica "giornaliera" dedicata ai pulp, con un nuovo estratto dal numero di marzo 1940 di Dime Mystery: When the dead return, racconto lungo a firma Donald G.Cormack (autore abbastanza prolifico sulle riviste mystery e horror della prima metà degli anni Quaranta).
La trama vede un avvocato/detective, Tom Cardigan, indagare su di una serie di misteriose morti fra le giovani figlie dei più facoltosi notabili della città, per poi arrivare a scoprire come nelle loro tombe non vi sia nessun corpo. L'arrivo a casa sua di una giovane e bellissima donna, apparentemente smemorata, lo spinge a indagare più a fondo, solo per scoprire che dietro al misterioso culto che promette la reincarnazione e il comportamento del tutto disinibito delle giovani "tornate dalla morte", vi sia niente meno che una gang criminale capitanata dal procuratore distrettuale in persona, che, stanco di non riuscire a fare carriera, ha deciso di diventare ricco in una volta sola, e ha inscenato il rapimento e la sparizione della fanciulle - sostituendo loro altre poverette come corpus delicti - per poi promettere ai ricchi genitori di poterle riportare in vita, a patto che una volta pagata l'ingente quota di "resurrezione", l'intera famiglia lasci la città senza dire nulla a nessuno. L'intervento della polizia salverà il detective caduto preda del folle procuratore, e gli permetterà di unirsi alla bella smemorata - rivelatasi figlia di un giudice di Chicago.
Discreto racconto di routine, che contiene in sé tutti gli elementi dello shudder pulp dell'epoca: dai nudi e torture gratuite inflitte alle belle vittime femminile, alla banalità della trama, alla glassatura orrorifico soprannaturale di una portata per il resto esclusivamente "gialla".
E' quasi incredibile notare quanta di questa produzione incentrata nel periodo metà anni Trenta primi anni Quaranta si svolga tutta attorno a uno stesso tema, come la censura praticamente non fosse ancora operativa (questo racconto e numerosi altri sono abbastanza "moderati" quanto a brutalità ed efferratezze gratuite, ma alcuni sono realmente difficili da sostenere perfino al giorno d'oggi!), e come una tale produzione di massa potesse riscontrare successo. Si tratta, almeno per quanto ho letto finora, per la più parte di narrativa di qualità non straordinaria, ma quasi mai veramente infima, e alcuni racconti sono dei veri gioiellini.

giovedì 7 marzo 2013

La nascita del volgare... sul tavolo da gioco

Serata ludica anticipata ieri sera e nuovo gioco da provare, in previsione del mio compleanno. Con un gruppo ridotto a quattro unità, abbiamo provato un titolo che mi ispirava molto e non ha deluso le aspettative: De Vulgari eloquentia.
Come dice il titolo, il gioco si propone di rivedere le origini della nostra lingua, il passaggio dal latino al volgare, ma è in realtà poco più di un'espediente per portare i giocatori a scorrazzare per l'Italia, partendo da mercanti e cercando in fondo alla partita di diventare papi.
Tre sono infatti i ruoli che i giocatori possono ricoprire nel corso del gioco: mercante (che consente di guadagnare parecchi soldi, ma un numero piuttosto basso di punti vittoria), frate (che limita fortemente gli introiti monetari, ma aiuta nel guadagnare badesse e amanuensi - utili per la vittoria finale) e infine Cardinale (che accresce le possibilità di vincere il gioco alla fine, se si riesce ad esseri eletti papa - un botto di punti!).
Nel corso della partita, i giocatori cercano di salire il più possibile nella scala della conoscenza (fondamentale per dirimere la parità e per l'acquisizione di manoscritti - che in fondo al gioco diventano punti vittoria - sempre più pregiati) e di ottenere il supporto di nobili, politici, badesse e nobili, che hanno costi e funzioni diverse (ma in massima parte rivolti all'acquisizione finale di punti vittoria).
Il fulcro del gioco sono i punti azione (5 per tutti, tranne per uno dei cardinali che, se interpretato, offre la possibilità di effettuare 6 azioni per turno - vantaggio non indifferente, ma di solito limitato agli ultimissimi turni del gioco, e a un costo in monete che pochi frati - passaggio d'obbligo per diventare cardinale - possono permettersi - visto che al momento di diventare frati bisogna rinunciare alla metà per eccesso delle proprie ricchezze) con i quali i giocatori si muovono per l'Italia in cerca di manoscritti (ce ne sono di cinque colori diversi a seconda delle regioni e riuscire ad averne almeno uno per colore porta un bonus a fine partita), di eventi (ogni turno una delle città della mappa fornisce un bonus aggiuntivo al primo giocatore che la visita) e di interagire con le varie tabelle (troppo numerose e variegate per elencarle tutte in questa sede), cercando di limare al meglio la propria strategia.
Il gioco è piuttosto lungo - almeno per noi alla prima partita, due ore e 15 circa, in 4 (al massimo si gioca in 5) - e richiede una qual certa pianificazione, perché pur non essendoci interazione diretta con gli altri giocatori, esiste una regola del primo arriva meglio alloggia nel caso degli eventi, della disponibilità dei ruoli e soprattutto nel raccogliere politici, nobili, etc - (ce ne sono al massimo 6 per turno e dopo il 7 turno dei 16 massimi del gioco, si rischia di non beccare più nulla).
Somigliante per certe meccaniche di assegnazione dei punteggi a Thurn und Taxis, ma in realtà strategicamente molto diverso, De Vulgari eloquentia è finalmente una lieta sorpresa dopo alcuni acquisti relativamente deludenti degli ultimi tempi, e mi sento di consigliarlo a tutti i giocatori non casuali. Le regole sono alla fine piuttosto semplici, anche se in apparenza lunghe a una prima lettura, le strategie apparentemente molto varie (alcune tabelle sembrano avere un senso strategico solo se le si completano - e quindi si ottengono i loro bonus - molto presto nel gioco, mentre scegliere il momento in cui diventare frate e quindi cardinale è un'altra scelta molto importante - specialmente perché alcuni dei personaggi che si possono scegliere nel ristretto lotto dei due prelati portano vantaggi che mi sembrano decisamente migliori di altri).
Sperando di aver illuminato qualcuno sulla strada della conoscenza, pardon, della scelta di un possibile acquisto ludico, vi saluto, rimandando a una prossima novità ludica lo spazio dedicato al gioco di questo blog.

mercoledì 6 marzo 2013

Un pulp al giorno: Scalps for the Butcher

Ancora dalle pagine del Dime Mystery del marzo 1940 per un mystery molto più classico, un hard boiled con tutte le caratteristiche del genere (detective dalla battuta pronta, belle ragazze in pericolo, giornaliste d'assalto, descrizioni "colorite", etc.), contaminato dalla necessità della narrativa shudder pulp, ovvero da elementi di nudità gratuita e situazioni sadiche.
Scalps for the butcher, scritta da Dane Gregory (pseudonimo di Ormond Robbins, prolifico autore di mystery fra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso), presenta come protagonista Rocky Rhodes, classicissimo detective dei pulp, protagonista di numerose storie apparse sulla stessa rivista.
Il racconto in questione lo vede alle prese con un crudele assassino, che è solito scalpare le proprie vittime femminili dopo averne abusato nei modi più terribili e sanguinosi. Tutta la vicenda ruota attorno a una vasta area che un ricco venuto dal nulla ha lasciato in eredità ai senzatetto della città, ma che i soliti squali della finanza vogliono acquisire per poi trasformarla in un grande parco cittadino, in cambio di parecchi milioni di dollari. E' uno di questi pescecane - inizialmente presentato come un avvocato dalla parte dei "buoni" - che ha organizzato tutta la faccenda, scatenando la furia omicida e sadica di due ritardati mentali contro gli abitanti della zona, cercando di costringerli alla fuga.
Il punto forte di un racconto, complessivamente godibile, è il narrato ricco di coloriture tipicamente pulp, con metafore inconsuete, alternanza di linguaggio alto e basso, di momenti frenetici e soliloqui poetici del protagonista - Rhodes appunto, che narra in prima persona - che compongono un quadro variopinto e variegato di una trama altrimenti piuttosto scontata (molte scene sono francamente telefonate), rendendola piacevolissima da leggere.
Altre storie pulp nei prossimi giorni!

Un pulp al giorno: Little children of Murder

Nuovo fascicolo di Dime Mystery, questa volta del marzo del 1940, con un romanzo breve di un autore pressoché sconosciuto, Loring Dowst (noto per una dozzina di opere scritte fra gli anni 30 e 40), e questa volta iniziamo con uno degli shudder pulps più truci che mi sia capitato di leggere finora, una storia che anticipa di una trentina d'anni gli exploitation anni Settanta, e in particolare quelli di Ilsa, la matrona nazista o simil nazista armata di frusta, che ha imperversato in numerose pellicole del periodo. Una delle figure di contorno di questa storia, quella dell'infermiera sado-maso Anya Kemling - che prova piacere nel frustare le povere pazienti di una clinica-orfanatrofio - sembra la vera progenitrice dello statuario emblema dei prison-movies, che hanno giocato un ruolo di primo piano tra le pellicole di serie Z degli anni Settanta.
La trama è relativamente semplice: una coppia di giovani ricchissimi sposi viene coinvolta in un incidente stradale, che vede tra le vittime una giovane donna che sembra essere deceduta dopo un parto traumatico. L'incidente riguarda un gruppo di maniaci uno più depravato dell'altro, che operano di nascosto in un orfanatrofio per carpire a povere ragazze che non saprebbero a chi affidare il figlio sul punto di dare alla luce, i figli stessi per poi venderli - possibilmente prematuri - ai "carnival" viaggianti che popolavano le strade della sterminata provincia americana della Depressione e del periodo immediatamente successivo. Le puerpere venivano eliminate in modo solitamente molto violento (la scena iniziale, lunga diverse pagine, è allucinante quanto a violenza espressa e sottesa, difficilmente sostenibile anche per i lettori odierni - pur scafati da anni di horror fiction come il sottoscritto). Con una serie di collegamenti - che spesso sembrano artefatti e forzati per lo svolgimento della trama - i due sposini vengono a trovarsi preda della banda di maniaci, ma vengono salvati "ex machina" da un nano, attrazione di uno di questi carnival, la cui sposa incinta era stata a sua volta uccisa dal gruppo.
Duro e allucinato, violento e splatter in gran parte del suo sviluppo, il romanzo breve non brilla certo per qualità di scrittura o efficacia della trama (troppi i momenti in cui si sente troppo lo sforzo dell'autore per tenere la storia entro binari che la portino alla fine, senza tener conto degli scossoni che il treno-trama deve subire per arrivare alla stazione), ma è indimenticabile per alcune sequenze allucinate, di una straordinaria cattiveria e perversione, anticipatrice in tutto e per tutto delle pellicole di Ilsa di cui parlavo sopra (intraviste in passate a spezzoni). Non so se i due sceneggiatori del film "Ilsa la belva delle SS", antesignano della serie, John Rayton e John Saxton, abbiano letto questo racconto, ma le somiglianze fra l'infermiera del romanzo in esame (e le sue perversioni sessuali) e la Dyanne Thorne interprete di Ilsa sono straordinarie, quasi troppo incredibili per essere solo una coincidenza... Chissà se qualcuno potrà far luce su questo enigma?

martedì 5 marzo 2013

Un pulp al giorno: Curtain call for the Corpse

Altra storia tratta dal numero di settembre del 1944 di Dime Mystery Magazine, questo breve racconto, scritto da un autore attivo sostanzialmente soltanto negli anni del secondo conflitto mondiale, Nathaniel Nitkin, è un piccolo gioiellino di sotterfugio e macchinazione, di paranoia imperfetta, che porta a una sorprendente conclusione.
La trama verte sull'omicidio di una ballerina esotica, compiuto da un perfido avvocato newyorkese, che da anni lavora nell'ombra per tirare fuori dai guai i membri del partito fascista e i collaborazionisti americani. Attraverso l'omicidio, l'avvocato vuole far cadere sulle spalle di un povero esule cecoslovacco il delitto del fratello, portato a termine da nazisti tornati in Germania. Attraverso un ritmo serratissimo, e un piano studiato nei minimi dettagli, l'autore ci mostra a quale livello può giungere la perfidia e l'immaginazione di un criminale, salvo scoprire poi, quando è ormai troppo tardi - visto che la trappola da lui accuratamente tessuta perché si svolga in teatro con "colpevole" e polizia chiamati appositamente sul posto è ormai scattata - che in realtà la ballerina non è morta, perché nella sua foga di mettere tutti i particolari al suo posto, si è dimenticato di controllare che la ragazza fosse effettivamente morta, e non semplicemente stordita.
Nonostante il finale abbastanza "stupido", il racconto è scritto molto bene, l'inghippo è meravigliosamente orchestrato e sufficientemente complesso, dato l'esiguo numero di pagine, da intrigare anche l'esperto di gialli (cosa che io non sono, peraltro). Gustoso, da divorare in un sol boccone.
Alla prossima!

sabato 2 marzo 2013

Kiwi su quattro ruote

Quanti di voi sanno nominare almeno un pilota neozelandese di formula uno? I più esperti forse conosceranno almeno Dennis Hulme, vincitore addirittura del titolo mondiale nel 1967 sulla Brabham, autore di una pregevolissima carriera condita da 8 vittorie e 33 podi, compiuta su diverse vetture.
Ma chi sa per esempio, che Bruce McLaren, che ha poi dato nome alla celeberrima scuderia omonima, era neozelandese? In formula uno come pilota ha corso per 104 volte, portando la vettura per 4 volte per primo oltre il traguardo e ha ottenuto un totale di 27 podi.
Abbastanza noto, anche per aver guidato diverse volte la Ferrari, è Chris Amon, che ha il poco invidiabile record di aver guidato 13 vetture diverse in 14 anni di carriera in formula uno (costellata di ritiri). Solo quattro podi per lui e nessuna vittoria, ma cinque pole position e tre giri più veloci.
Howden Ganley ha corso 41 volte, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, senza conseguire alcun risultato degno di nota
Poco più di una nota a pié di pagina gli altri piloti neozelandesi che hanno guidato in gara vetture di formula uno, e tutti concentrati negli anni Sessanta e Settanta: Tony Shelly, John Nicholson, Graham McRae e Mike Thackwell.
Poi più niente, se non qualche collaudatore.
Comunque sia, un paese molto poco popolato come la Nuova Zelanda, celebrata quasi esclusivamente per il rugby, ha lasciato un'eredità importante nella formula uno, e ha dato i natali a una scuderia, la McLaren, destinata a vincere quasi più di ogni altri nella storia delle corse.


Un pulp al giorno: Vengeance of the Staked Dead

Vendetta d'oltretomba in salsa nazista è quella della nostra storia di oggi, tratta dal solito numero di settembre 1944 di Dime Mystery Magazine. Scritto dal praticamente sconosciuto R.Sprague Hall, autore di un manipolo di storie giallo/orrorifiche sui pulp della prima metà degli anni Quaranta, questo Vengeance of the staked Dead è un racconto breve che narra della vendetta di un nobile francese che ha visto la sua famiglia massacrata dai prussiani nella Parigi della Comune del 1870/71, e che attraverso lo studio attento della Magia Nera e delle tecniche alchimistiche, riesce a prolungare la sua vita fino alla Germania nazista del 1944, per andare a colpire l'ultimo sopravvissuto della famiglia dei Von Haengle, gli assassini dei suoi cari.
Porterà a termine la sua vendetta con l'aiuto di un vampiro, spacciato per un omuncolo, un manichino assassino richiestogli da Hitler.
Scritto con uno stile ricco di arcaismi e con non poco umorismo di sottofondo, il racconto, pur nella sua notevole brevità, coglie nel segno e riesce a prendere l'attenzione del lettore (senza peraltro lasciare tracce indelebili nella memoria dello spettatore). Un altro tassello positivo, in un numero della rivista che non cessa di stupire per la notevole qualità delle sue storie.
Domani un'altra di simil tenore

venerdì 1 marzo 2013

Un pulp al giorno: Vultures of Whapeton

Ed eccoci giunti a parlare di uno degli autori simbolo dell'epoca dei pulp, Robert Erwin Howard, il vate texano autore di Conan, di Solomon Kane, Kull di Valusia e molti altri straordinari personaggi che hanno segnato un periodo e modellato l'immaginazione di molti di noi.
Praticamente ignoti in Italia, ma assolutamente straordinari, sono i suoi numerosi western, uno dei quali, Vultures of Whapeton, è il centro di questo nostro post. Apparso postumo nel dicembre del 1936, sul numero 4 della rivista Smashing Novels, è un romanzo breve di straordinaria intensità e potenza visiva, un condensato del miglior Howard, quasi un fantasy con le pistole e i fucili al posto delle spade. Ambientato in un mondo brutto, sporco e cattivo, dove il migliore di tutti ha la rogna, è la storia di un pistolero, Jim Grimes, che si trova a ricoprire il ruolo di vice-sceriffo in un paese minerario, Whapeton appunto, dove lo sceriffo e la sua combriccola sono in realtà dei malviventi, gli avvolti del titolo, che si arricchiscono ai danni dei poveri abitanti del luogo, mantenendo il potere con lo spauracchio del possibile arrivo dei banditi, che sono poi loro stessi. Grimes, che presenta tantissimi punti di contatto con Conan il barbaro ed è dotato di un suo codice d'onore tipicamente western, si adegua suo malgrado alla situazione, finché per amore per la bella Glory, ballerina del saloon del paese, cercherà di cambiare la situazione. Non ci riuscirà in toto, visto che avrà sì la sua vendetta e i malvagi banditi pagheranno il fio delle loro colpo, ma non avrà l'amore di Glory, uccisa vigliaccamente dal perfido sceriffo.
Quasi uno spaghetti-western ante-litteram, il romanzo breve di Howard mostra molte delle caratteristiche migliori e peggiori del genere, dal linguaggio stereotipo e le frasi fatte, a una cattiveria di fondo, a uno sguardo disincantato e negativo sull'uomo e sul mondo, che ha poco o nulla dell'epica western che proprio in quegli anni iniziava a mostrarsi sugli schermi hollywoodiani, e sembra invece avvicinarsi agli scenari tarantiniani (filtrati in realtà da decine e decine di pellicole nostrane). Più Django che John Wayne, Grimes è un "personaggione", il modello classico dell'eroe howardiano, tutt'altro che uno stinco di santo, ma dotato dell'onore del cowboy come lo intende Howard, quello del texano dell'Ottocento come del primo Novecento, l'uomo che pone la donna su un trono di cristallo, che la adora e la teme a un tempo, pronto a tutto per difenderne la vita e l'onore, ma comunque incapace di comprenderla in pieno, incapace di distinguerne il ruolo di madre, sposa o amante, di sorella o di figlia, psicologicamente dominato da essa, ma impossibilitato ad affrancarsene. Grimes è un eroe colluso con il potere, per lungo tempo limitatosi ad opporre un minimo di resistenza passiva, che vede la retta via solo attraverso la donna-angelica (impersonata, non a caso, da una ballerina di saloon, una donna "facile", con la quale inizialmente ci si può approcciare con minor timore), ma si redime troppo tardi, senza lieto fine, senza possibilità future.
Storia dura, sporca e cattiva, come abbiamo detto, un western modernissimo, pur se vecchio di quasi ottant'anni, priva di luce, nera come il carbone, bella come un diamante.
Parleremo ancora di Howard e dei suoi scritti meno noti in altre pagine del nostro blog. Seguiteci ancora!

Un pulp al giorno: The bride wore black

Le pagine ingiallite del numero di settembre del 1944 di Dime Mystery Magazine ci regalano un altro piccolo gioiellino noir: The bride wore black, scritto da un altro ottimo mestierante del genere, Bruno Fischer, autore di centinaia di lavori, spesso anche sotto pseudonimo.
La trama vede un giovane appena sposato con una bellissima ragazza conosciuta da poche ore (improbabile, eh? Ma siamo nella fiction più pura) finire in galera con l'accusa di aver tentato di uccidere un ex pugile durante una rissa in un bar, ma in realtà finito all'interno di un complicato complotto, orchestrato dal fratellastro della ragazza, figlio di un influente senatore dello stato, che aveva tutte le intenzioni di impalmare la bella fanciulla. Scampato a due settimane di torture in una buia e nuda cella di detenzione, privato di tutto, fuorché della voglia di sopravvivere all'ingiustizia, il protagonista verrà liberato e dotato di una nuova identità, quella di un falsario, deceduto durante una tentata fuga dal carcere. Tornato a cercare la mogliettina, smagrito e invecchiato oltre ogni dire dalle sevizie subite in prigione, l'uomo non sarà inizialmente riconosciuto dalla fanciulla, e cadrà dentro un'intricatissima vicenda di corruzione e morte, fino ad avere la meglio contro tutta la cospirazione e a riprendersi la bella moglie.
Aldilà del sottofondo quasi incestuoso, il racconto si segnala per l'abilità costruttiva della trama nera, un perfetto noir, dove la corruzione e il male si annidano ovunque, tranne che nell'ingenua e fedele mogliettina (che della dark lady tipica del genere possiede soltanto il fascino, ma molto più fresco e spontaneo), e nello sfortunato protagonista, che comunque, dopo una terribile odissea degna del conte di Montecristo, riuscirà a riavere tutto quello per cui avevo deciso di sopravvivere. Certo, in più tratti vi sono inconsistenze logiche e piccoli cali narrativi, ma il racconto resta un altro ottimo esempio della qualità più che buona della maggior parte dei pulp del periodo.
Altri a seguire...