lunedì 23 dicembre 2013

Auguri di Natale in salsa western

Scarsa attività sul mio blog in questi ultimi tempi, ma il tempo è quello che è (non dubitate, torneremo presto fin dall'inizio del nuovo anno).
Intanto, con l'augurare a tutti i lettori un felice Natale e un meraviglioso 2014, vi invito a scaricarvi, dal sito dell'editore che entro poche settimane pubblicherà un intero volume di racconti su Robert Howard in salsa western, un piccolo "omaggio" natalizio, Il Natale di Golden Hope, uno dei primissimi sforzi letterari del giovanissimo Howard (è apparso sul giornalino del liceo), un curioso western che ha già in sé alcuni dei germi della futura grandezza (non tantissimi a dire il vero, ma è Natale :)

Ecco il link per il pdf del racconto

http://www.fratinieditore.it/image/mellonta/il_natale_di_golden_hope.pdf

martedì 10 dicembre 2013

Conan a sei colpi: i racconti western di Robert Erwin Howard

E' con non poca soddisfazione che vado ad annunciare l'uscita imminente (veramente a giorni ormai) del secondo volume della collana Mellonta Tauta, pubblicata da Fratini Editore, e dedicata in questo caso a una selezione, sufficientemente corposa, di racconti western scritti dal padre di Conan il Barbaro (e di numerosi altri personaggi quasi altrettanto celebri), Robert Erwin Howard: Sfida al canyon infernale.
Si tratta di una raccolta cronologica di otto racconti, a partire da Tamburi al tramonto, pubblicato a puntate fra il 1928 e il 1929 sul quotidiano del paesino texano dove Howard viveva, il Cross Plains Review, per arrivare a recuperi postumi risalenti fino agli anni Settanta del secolo scorso. La caratteristica unificante di questa raccolta è la predominanza assoluta dell'elemento texano delle storie, dal cavalleresco senso di nobiltà sudista che animava il suo autore, perfettamente a suo agio in un universo che nelle sue ultime propaggini aveva respirato a pieni polmoni (chissà quanta tosse, vista la polvere!) fino a tutta la sua adolescenza (e alcune delle storie presenti in questo volume, infatti, sono dei veri e propri western contemporanei alla vita di Howard, visti i riferimenti a Pancho Villa e alla rivoluzione messicana di pochi anni prima). Punteggiati di deserti e pinnacoli di roccia, di città minerarie e praterie sterminate, di mandrie smisurate e fanciulle da salvare, i racconti howardiani che abbiamo scelto in questa antologia riportano alla mente fin dalle prime pagine le tante letture trascorse negli universi fantastici del bardo texano, ed è francamente impossibile non ravvisare in taluni dei personaggi che frequentano queste narrazioni western l'ombra incombente del Cimmero, specialmente nel capolavoro assoluto di questo volume, "Gli avvoltoi di Whapeton", che trasuda Conan a ogni pagina.
Abbiamo volutamente scelto di presentare una selezione di racconti howardiani che si astenesse dai personaggi più famosi e più pubblicati (in America, visto che da noi sono comunque praticamente tutti inediti) nel filone western howardiano, quelli che gli avevano dato più da mangiare - letteralmente - durante la sua breve esistenza, tragicamente conclusasi; non troverete quindi traccia in questa antologia di Breckinridge Elkins (ben 24 racconti di varie dimensioni pubblicati in buona parte fra il 1934 e il 1937 sulle pagine di Action Stories, e venate di un qual certo umorismo grottesco), Pike Bearfield (un manipolo di storie scritte da un cowboy illetterato, anch'esse umoristiche, parzialmente pubblicate nel 1936 su Argosy) e Buckner Jeopardy Grimes (tre racconti apparsi fra il 1936 e il 1944 su Cowboy Stories e Masked Rider, una delle quali apparsa anche da noi, nel volume miscellaneo Skull Face, uscito negli anni Settanta nella Fantacollana dell'Editrice Nord).
La scelta è stata fatta per mostrare il lato più aperto, meno seriale di Howard, e presenta comunque i suoi western migliori, talora stereotipi, talora tanto poco tipici da venire rifiutati più e più volte dagli editori, per finire poi pubblicata su un pulp minore, "Smashing Novels", e addirittura con due finali diversi - uno tragico e darkeggiante, assolutamente irresistibile, e un altro "politicamente corretto", classico e positivo, indubitabilmente inferiore. Il racconto (o dovrei dire romanzo breve, viste le corpose dimensioni) è il citato "Gli Avvoltoi di Whapeton", un autentico gioiello narrativo tout court, ricco di colpi di scena e di sequenze magistralmente congegnate, un compendio dell'immaginario western riletto e rivissuto in chiave noir, anticipatore di quella contaminatio fra i generi che renderà grande Quentin Tarantino (e non a caso nell'introduzione all'antologia paragono il racconto in questione a "Le iene" - leggetelo per capire i motivi del mio azzardato accostamento) parecchi decenni dopo e in un medium assolutamente diverso.
Che altro dire? Spero di aver solleticato a sufficienza la fantasia e il desiderio di conoscenza di parecchi miei lettori, e vi aspetto quanto prima a una delle presentazioni fiorentine del volume (ancora da decidere, ma sicuramente fra dicembre e gennaio).

mercoledì 4 dicembre 2013

Ci mancava solo la tombola... Augustus!

Torno con piacere a occuparmi di giochi, visto che ieri sono riuscito a provare il premio della critica di Essen 2013 e candidato al gioco dell'anno, Augustus.
Attirato dall'ambientazione, dal costo contenuto (intorno ai 30 euro) e dal suo autore (Paolo Mori, autore dell'ottimo Libertalia), mi sono buttato nell'acquisto a occhi chiusi, senza premurarmi di leggere le meccaniche del gioco su boardgamegeek o simili.
D'altra parte, un gioco fino a 6 giocatori e dalla durata molto breve (circa mezz'ora) non sarebbe poi stato male come filler riempi-serata, no? Bah, forse no.
Le semplicissime regole fanno capire subito dopo poche righe che il buon Mori ci invita a giocare a tombola, solo che invece dei numeri da 1 a 90 e dai fagioli per le cartelle, si è inventato una serie cospicua (poco meno di 100) di "cartelle" raffiguranti senatori (dai nomi fantasiosi e spesso tongue in cheek) e province imperiali, e una serie di gettoni raffiguranti daghe, pugnali, scudi legionari, bighe, etc., da estrarre al posto dei numeri.
Sostanzialmente, ogni giocatore sceglie tre "cartelle" da un pool iniziale di 6, ognuna delle quali possiede dei requisiti minimi per essere completata (che so, due daghe e due carri, oppure, uno scudo, 2 catapulte e un vessillo legionario), un certo numero di punti vittoria (fisso o variabile) e potenzialmente anche un'abilità particolare che si attua non appena la "cartella" viene completata (tipo, sposta dove ti pare due fagioli... ehm, legioni... a disposizione, oppure, pesca una "cartella" in più, oppure per te "daga" e "scudo" sono uguali - ovvero, se peschi uno, puoi usare anche l'altro simbolo). Ultimata la cartella e applicate le sue funzioni (che possono anche riguardare gli avversari - tipo, scarta tutti i "fagioli" da una cartella, scarta una cartella completata, etc.), il giocatore reintegra la mano di cartelle a disposizione da un pool di altre cinque disponibili per tutti (e via via a sua volta integrato).
Questo in pratica il gioco, estremamente veloce, ma quasi totalmente affidato alla fortuna, perché, nonostante la scelta delle cartelle possa consentire una qualche strategia, la rapidità della partita (non appena un giocatore completa 7 cartelle la partita finisce) in realtà ne consente ben poche e tutte estremamente legate alla fortuna (le uniche scelte vere e proprie che il giocatore può effettuare è quando prendere il bonus per il numero di province, che usa un sistema simile a Thurn und Taxis, ovvero chi primo arriva meglio alloggia, ma preso un bonus di un tipo, non ne puoi avere altri, se poi la tua situazione migliora)
IL pregio principale sta nella rapidità, nel basso costo e nell'ottima componentistica del prodotto (che però ormai è abbastanza standard in molte produzioni odierne), mentre dal punto di vista prettamente ludico il gioco mi pare piuttosto deludente - non ingiocabile, si badi bene, perché in fondo anche la tombola può essere divertente, e questo ha sicuramente molti fronzoli che lo possono rendere più gradevole - e come riempi serata si può trovare di meglio (numerosi giochi di carte, per esempio, altrettanto rapidi da preparare e da portare a conclusione).

martedì 3 dicembre 2013

Quando Equitalia incontra il Bardo: Repo Men

Nell'ambito dei recuperi cinematografici impostimi dai vari progetti editoriali in corso, l'altro giorno mi sono visto un film forzosamente truzzo, che merita qualche parola (anche per spiegare il titolo curioso di questo post).
Repo Men narra le vicende di un "recuperatore" di crediti del futuro prossimo venturo (ormai unanimente mostrato come negativo e distopico dalla cinematografia contemporanea), che lavora per una corporazione dedita alla produzione di organi vitali sintetici (cuore, pancreas, fegato, etc.), che vengono venduti ai clienti, con la clausola che, in caso di mancato pagamento entro 90 giorni dall'innesto, un "recuperatore" riprenderà l'organo dall'ospite umano, senza peritarsi di chiederne il permesso e quasi sempre con conseguenze letali per l'incauto acquirente.
Il nostro eroe (Jude Law) è uno dei migliori nel mestiere, ma per un sabotaggio orchestrato dal "miglior amico" (un buon Forrest Whitaker), finisce in coma e viene salvato soltanto grazie all'innesto di un cuore artificiale, generosamente venduto dalla corporazione stessa, nella persona del "capo" (un ottimo Liv Schrieber). Il recuperatore si troverà quindi ben presto - vista l'impossibilità di pagare l'esosa quantità di denaro richiesta dalla corporazione - a vestire i panni della preda e si troverà coinvolto in una moderatamente appassionante avventura, nel tentativo di arrivare a chiudere la pratica con il fisco, per così dire, senza rimetterci la vita. Finale a sorpresa (insomma, neppure poi tanto, dai), che evito di raccontare per chi volesse vederlo (si può buttar via il tempo in modo peggiore).
Come vedete, quindi, la trama richiama vagamente il Mercante di Venezia di Shakespeare, mentre le connessioni con Equitalia sono lampanti. Il film vivacchia un po' troppo per i miei gusti, indeciso su quale tonalità prendere, con numerose scene inutilmente splatter, francamente fumettistiche, qualche sequenza invero azzeccata (con un attore più truzzo di Law - tipo Diesel, tanto per buttare lì un nome che ci avrei visto bene - la sequenza del combattimento nel corridoio della corporazione poteva assurgere a top ten del genere, così come è visivamente accattivante la sequenza del combattimento nel laboratorio), e un senso di già visto di fondo che lascia galleggiare il prodotto in un mare magnum di fanta-azione dozzinale, che non guasta assaporare se si è dell'umore giusto (ieri lo ero solo in parte).
Ai prossimi consigli cinematografici (probabilmente datati, vista la fase di recupero per lavoro in cui sono immerso).

martedì 26 novembre 2013

Spazio cinematografico: Into Darkness e Last days on Mars

Un disastroso (in tutti i sensi) virus intestinale mi ha costretto a letto qualche giorno e ne ho approfittato per recuperare un po' il tempo perduto quanto a film di fantascienza da vedere.
Se Last Days on Mars - che tra l'altro da noi deve uscire - è un piuttosto modesto filmetto di zombie marziani fatto come se il tempo - dal punto di vista del cinema e degli effetti speciali - si fosse fermato ai telefilm di UFO (per dare due righe di trama, il film racconta di una missione spaziale su Marte che scopre la vita sotto forma di un terribile microbo che infetta via via gli scienziati della base e li elimina uno dopo l'altro in stile La Cosa o qualsiasi altro film simile ci sia stato prima e dopo) e non ci si rendesse conto che forse un racconto di dieci pagine - se non ci si aggiunge qualcosa - non può servire come struttura complessiva di un film di 90', risultando in uno spreco di cast e tempo dello spettatore, ben altra cosa si può dire di Star Trek: into Darkness, secondo capitolo del reboot della serie dell'Enterprise classica, con i "giovani" cloni degli eroi di una volta, firmato dall'irriverenza iconoclasta di J.J.Abrams, e attraversato di nostalgia del passato e impeti giovanilistici, che lo rendono, a mio parere, più che godibile anche dai fan talebani dell'originale.
La rilettura del "mito" di Khan - impersonato alla grande da "Holmes" Cumberbatch - è interessante, ma poteva essere sfruttata un po' meglio. Che l'attore poi rubi la scena alla grande a tutto il resto del cast è altrettanto evidente, e non necessariamente un male. Se alcune cose hanno lasciato francamente interdetto anche me (che non mi considero un talebano - se non per il fatto che Spock è e sarà sempre e solo Leonard Nimoy, e il 2.0 sarà appunto un 2.0 (o meglio, a mio giudizio, uno 0.2) come quasi ogni altro "clone" scelto per impersonare l'originale), il complesso del film è gradevole, alcune caratterizzazioni molto somiglianti all'originale (Urban e Pegg come Bones McCoy e Scotty su tutti quanti; perfino Pine come Kirk non è molto peggio dell'originale, e senz'altro attore migliore) e non vedo francamente l'ora di vedere se avremo altre "riletture" moderne di un vecchio mito per tutte le generazioni.

venerdì 22 novembre 2013

Falsi Dei

Il post di oggi ospita la recensione di GianFilippo Pizzo di un interessante romanzo di fantascienza nostrana, Falsi Dei del prolifico ed eclettico Francesco Troccoli, nome ormai affermato nel panorama fantastico italiano. Eccola qua:


Francesco Troccoli, Falsi dei, Curcio 2013, 320 p., € 15,90
Volendo estrarre da questo romanzo una frase che lo rappresentasse, ci sembra indicata questa: "umanamente alieno". Perché in questo libro tutto è estraneo, dalla dimensione temporale situata migliaia di anni oltre il nostro futuro ai corpi celesti dalla caratteristiche inusuali, dalla antropologia degli esseri viventi ai macchinari ipertecnologici, dalla psicologia di certi personaggi alla stessa struttura sociopolitica. Persino gli appassionati di fantascienza di vecchia data troveranno concetti se non proprio originali almeno rivisti con passione e moderna consapevolezza: l'anomalia spaziotemporale, i longevi, i privi di sonno (e dunque di sogni), la gestalt tra menti eccetera. Eppure, al contempo, tutto è profondamente umano: la gerarchia militare che rispecchia la situazione politica, i sentimenti (buoni e cattivi) delle persone e le loro pulsioni, la preponderanza del potere economico... tutto perfettamente riconoscibile anche se ambientato in un altro tempo e in un altro spazio.
Non sappiamo se l'autore lo giudicherà un complimento, ma a noi questo romanzo ha ricordato un grande scrittore di SF americano, Alfred E. Van Vogt, sia per gli improvvisi colpi di scena che sembrano rivoluzionare la trama - ma in questo caso sono per lo più cambiamenti di prospettiva - sia per il numero e la grandiosità dei concetti messi in campo, dai viaggi interplanetari alla riscoperta del pianeta Terra come culla della civiltà fino ai vari dualismi che entrano nel background della storia: normali/longevi, mente individuale/mente collettiva, dormienti/insonni, tecnologia/barbarie (o presunta tale), ricchezza/povertà.  E se manca, quanto mai opportunamente per i nostri tempi, la dicotomia uomo/donna (nell'universo di Troccoli i due sessi sono alla pari) è invece presente il rapporto padre/figlio, perché l'autore non scrive ai tempi di Van Vogt  ma ai giorni nostri e condisce l'avventura con riflessioni non banali, spaziando dall'economia alla filosofia e privilegiando l'introspezione e la caratterizzazione dei personaggi.
Il romanzo continua le avventure di Tobruk Ramarren, l'avventuriero che già avevamo apprezzato nel precedente Ferro sette (Curcio 2012), questa volta inviato in missione diplomatica su un lontano pianeta che rivelerà un forte sorpresa, missione complicata da ammutinamenti, da nanovirus, dal comportamento delle popolazioni locali, da tradimenti vari. Una trama ricca d'azione che però non è fine a se stessa ma accompagna il lettore alla scoperta di situazioni straordinarie, con qualche spunto di riflessione. Un romanzo che forse non è un capolavoro ma si legge volentieri e, pur con qualche lungaggine in alcuni momenti,  scorre dall'inizio alla fine.
Gian Filippo Pizzo


sabato 9 novembre 2013

Un pulp al giorno: The Army without a Country

E dopo una lunga pausa - dovuta alla mancanza di nuovo materiale in proofreading - ecco tornare la nostra rubrica preferita, con un romanzo della serie Operator 5, già vista in passato su queste pagine. Si tratta del numero 35 del settembre-ottobre 1937, e si intitola The Army without a country. Facente parte del Purple Empire, è un romanzo breve che contiene in sé tutta l'essenza del pulp eroico di quegli anni, anticipatori di stilemi che al cinema - e non solo - resistono ancor oggi, pieno di tutti i pregi (pochi) e difetti (a ben guardare moltissimi) insiti in questo tipo di narrativa popolare.
La trama è data da un continuo affastellarsi di situazioni, improbabili ma coinvolgenti, che vedono il nostro eroe passare dalla padella in varie braci, prima di consumare la sua vendetta - almeno in parte - contro il malvagissimo imperatore Rudolph I, il sovrano euroasiatico che con le sue infinite schiere di "orchetti" di Moria (ci sono molte similitudini) ha conquistato e messo a ferro e fuoco gli Stati Uniti, la cui ultima speranza verge su di un massiccio contrattacco sul Continental Divide, ovvero le Montagne Rocciose, e sulla riconquista della città simbolo di questa estrema linea difensiva, Denver. A prezzi spaventosi in termine di vite umane, gli Americani riusciranno non solo a respingere gli assalitori, ma perfino a catturarne il sovrano (nell'episodio di cui avevamo parlato mesi fa, il sovrano era prigioniero di Operator 5, ma ciononostante i pericoli per i "buoni" erano tutt'altro che finiti).
Aldilà della trama - in confronto alla quale, Red Dawn di Milius è un capolavoro di realismo (e parlo di trama, non del film in sé, che possiede comunque i suoi pregi, vista la qualità del regista) - il romanzo è interessante sotto numerosi punti di vista: la perfidia del nemico raggiunge estremi disumani (come il crocifiggere tutti i primogeniti degli Americani rimasti nella città occupata di Denver, per impedire alle truppe americane di assalire la città, oppure utilizzare altri prigionieri in posizione siffatta - evidentemente Rudolph I doveva essere un estimatore di Roma antica - come bersaglio d'addestramento per le truppe purpuree), che saranno però grandemente superati dalla realtà nazista (nonostante sia evidentemente questo il modello di riferimento per Tepperman, l'autore di questo testo; se è vero infatti che non era ancora iniziato il secondo conflitto mondiale, già da mesi imperversava la guerra civile in Spagna, dove le truppe tedesche si erano già messe in luce). La cosa "bella" di questo tipo di narrativa popolare impregnata di eroismo patriota è anche la facilità con cui si eliminano i personaggi secondari, dando però loro occasione di andarsene in a "blaze of glory", più alla Gemmell che alla Martin, per citare due autori fantasy che molti dei lettori di queste pagine conoscono molto bene. In questo caso, la missione suicida di un aereo disarmato contro le truppe che sparano alla schiena degli uomini e delle donne crocifissi, vale da sola il "prezzo del biglietto".
Insomma, pur nella pochezza complessiva dell'opera in senso più alto, la saga di Operator 5 e specialmente questo ciclo interno dedicato alla guerra contro l'Impero Purpureo merita almeno un'occhiata scevra di pregiudizio.

venerdì 25 ottobre 2013

Sleepy Hollow

Bentornati indietro di vent'anni, ai meravigliosi tempi di Sunnydale e dell'allegra combriccola di liceali ammazzavampiri di Whedon & co. E' questa la prima impressione dopo aver visto le prime due puntate di Sleepy Hollow, la nuova serie targata Fox (non a caso), che cerca di riambientare in chiave moderna il classico folk tale americano di Washington Irving, portato con discreto successo al cinema una quindicina di anni fa da Tim Burton.
L'inizio colpisce subito il bersaglio - almeno con me - con una scena di battaglia della guerra d'indipendenza americana e l'entrata in scena del cavaliere da lì a poco senza testa dotato di ascia bipenne che caratterizza il racconto popolare, presto seguita da titoli di testa con Sympathy for the Devil dei Rolling Stones (non nella cover dei Guns'n'Roses, presente nei titoli di coda di Intervista con il Vampiro). Una volta inseriti nei giusti binari, il telefilm racconta le vicende di Ichabod Crane, professore di Oxford arruolato nell'esercito di sua maestà britannica per combattere contro le colonie ribelli, ma presto passato all'esercito di Washington dove ha ricevuto l'incarico di combattere il male, impersonificato dai quattro cavalieri dell'apocalisse (il decapitato armato di ascia è la Morte), compito che riuscirà a espletare (attraverso un incantesimo della moglie Katrina, una strega dedita alla magia bianca) anche nel 2013, quando si risveglierà a Sleepy Hollow, pronto ad affiancare una giovane tenente della polizia locale e - immagino - una schiera di altri personaggi nella lotta contro la Fine prossima ventura.
Ben realizzato e ben diretto, il telefilm mi ha preso in particolare per la figura di Crane- ottimamente resa dal poco conosciuto Tom Mison, attore di teatro britannico - e il suo eloquio settecentesco (miseramente restituito dai sottotitoli che ho scaricato, ma spero degnamente riconosciuto nel doppiaggio italiano ormai imminente), e aldilà di alcune imprecisioni e passaggi piattamente televisivi, mi sembra che ci siano tutte le premesse per poter vedere un buon telefilm di azione soprannaturale, come era il buon Buffy delle origini.
Curiosa e molto azzeccata la presenza di Clancy Brown, il Kurgan di Highlander (e parlando qui di teste mozzate, chi meglio di lui?), in un ruolo che probabilmente potrà essere significativo pur necessariamente di contorno vista... NIENTE SPOILER... guardatelo.
Vediamo se reggerà al trascorrrere degli episodi (peraltro pochi, trattandosi di una stagione di 13 puntate - con già il rinnovo per la seconda però), visto che secondo me l'idea è interessante, ma andrebbe consumata e gustata in un numero limitato di stagioni (non mi sembra abbia lo scheletro sufficiente a reggere il peso di parecchie annate - proprio come, secondo me, ma credo di essere in minoranza, Buffy.
Insomma, se siete in cerca di un nuovo telefilm per questo inizio di stagione, potete pescare molto ma molto di peggio.


mercoledì 16 ottobre 2013

Alghe - un inedito di Stanley Weinbaum

Ci siamo: è finalmente disponibile - in formato ebook e in volume cartaceo - l'antologia di racconti Volo su Titano di Stanley G.Weinbaum (tutte le informazioni sul sito dell'editore www.fratinieditore.it), che sarà presentata in anteprima oggi pomeriggio (17 ottobre) alle ore 18 presso Stratagemma, a Firenze.
Come promessovi, dopo avervi omaggiato la scorsa settimana di un racconto poco conosciuto di Weinbaum (Luna di Marea), ecco oggi una vera chicca: un inedito - a firma Weinbaum e Ralph Milne Farley - apparso nel 1936 sulla celeberrima Astounding.
Rispetto ai nostri altri ripescaggi contenuti nel citato volume, questo Alghe (il titolo originale Smothered Seas non suonava molto bene in italiano) è indubbiamente un prodotto minore, zeppo di stereotipi (la figura femminile è una macchietta a tratti indecorosa), dal passo molto più lento e pesante del consueto, e soffre sicuramente del non essere tutta opera di Weinbaum, ma di un rimaneggiamento, non è possibile dire quanto esteso, di Farley (autore di ben più modesta qualità). Nonostante questo, il lungo racconto è interessante come "what if", come idea di storia alternativa - quella di un conflitto fra Stati Uniti e Asia - estremamente presente in quegli anni e di lì a poco effettivamente verificatasi con il conflitto mondiale con il Giappone. Vi lascio quindi al racconto, buona lettura


Alghe

Era il 2000 e l'America combatteva per la propria vita contro l'Unione Asiatica. Nonostante questo, il popolo americano, perfino gli ufficiali dell'esercito, trovava modo di divertirsi. Era una necessità, per allontanare la mente da quella lotta titanica.
Il tenente Richard Lister, con indosso i calzoncini da bagno, sedeva sul telo da spiaggia e fissava ombroso l'oceano Pacifico verso Seal Rocks e oltre; con la mani stringeva le ginocchia abbronzate, il viso altrettanto brunito pieno di tensione.
"Non parliamo della guerra! Parliamo un po' di noi!" propose a Sally Amber, che gli sedeva accanto.
La ragazza spostò su di lui i suoi strani occhi scuri e inquisitori.
"Non dovresti sentirti così, Dick" disse seria. "Specialmente visto che appartieni a un ramo particolarmente importante del servizio. Non sto scherzando, sono molto seria. Dove sarebbe oggi il Paese senza il vostro Dipartimento di Biologia e Batteriologia Militare? Saremmo stati tutti quanti spazzati via dai germi asiatici!"
"Come no, e se non fosse stato per i loro scienziati, sarebbero loro a essere stati spazzati via dai nostri! Siamo a un punto morto, uno stallo, te lo dico io, non diversamente da tutta questa guerra. Guarda l'Alaska: da più di un anno ormai il Khan occupa quel piccolo angolo da Rocky Point a Capo Espenberg e non siamo stati in grado di far spostare la linea del fronte di un solo centimetro, proprio come lui non è stato in grado di fare altrettanto dalla nostra parte del confine. Entrambi gli eserciti sono protetti da quegli impenetrabili campi elettrici di Beckerley.
"L'Alaska è la chiave di tutto, vista la presenza dello stesso Khan. Se potessimo penetrare il suo campo Beckerley ed eliminarlo, l'intera Unione Asiatica si sgretolerebbe. Solo una personalità del suo stampo è in grado di tenere assieme gruppi naturalmente ostili fra loro come i Siberiani, i Giapponesi, i Cinesi, i Tartari e così via. Senza di lui, si sbranerebbero a vicenda nel giro di poche ore!"
"Beh, e come mai nessuno lo fa?" chiese Sally con una qualche malizia.
"Dio solo sa quanto ci abbiamo provato!" esclamò Lister. "Più di dieci volte dei coraggiosi americani sono penetrati oltre le linee nemiche e hanno provato ad assassinarlo, solo per finire catturati e sottoposti a torture spaventose, preludio di una morte orribile".
La giovane rabbrividì e si coprì le spalle con il telo da spiaggia.
"Non credo di potermi definire una 'coraggiosa americana'".
"Scommetto che lo sei".
"Come mai le truppe americane non sono sbarcate in Asia?"
Lister la fissò perplesso.
"Lo sai bene quanto me. Per quanto l'America abbia il controllo del mare dopo aver annientato la flotta del Khan sei mesi fa al largo delle Marianne, l'Unione ha dieci milioni di uomini armati in Asia. Che senso avrebbe fare sbarcare anche cinque milioni dei nostri contro una tale preponderanza numerica? No, dobbiamo eliminare in qualche modo quel pazzo di un Khan in Alaska!”
"Non è matto!" replicò inaspettatamente la ragazza.
"E come fai a saperlo?"
"Io...io... l'ho visto".
"Non sapevo fossi stata in Alaska".
"Ci sono un sacco di cose che non sai di me" ribatté Sally. "Mio padre è morto, sono piuttosto ricca e ho viaggiato molto. Tre anni fa ero nella capitale orientale, Harbin. E sono stata anche a Mosca, la capitale occidentale, a dire il vero".
"Quindi hai visto quel pazzo di un Khan" la schernì. "Hai mai visto la donna che chiamano la principessa Stephanie? Che aspetto ha? Si dice che sia alquanto bella".
Sally alzò le spalle. "Oh, è carina, se ti piace il tipo" replicò con leggerezza. "E' scura e con sangue kazaro nelle vene; ha grosso modo la mia stessa età e... comunque sia, perché questo interrogatorio? Continua pure la tua riflessione".
"Su di noi?" chiese speranzoso.
"No" Allungò una mano delicata e sfiorò dolcemente il ginocchio del compagno. "Sui campi Beckerley. Cosa sono? Come funzionano?"
Richard aggrottò la fronte pensieroso, cercando di scegliere vocaboli comprensibili per la ragazza.
"Si tratta di un'applicazione dell'esperimento di Morelle sulle correnti elettriche parassite. Io sono un botanico, non un ingegnere, ma so che l'intera idea verte sulla rifrazione delle linee di forza magnetica.
"Funziona così: sopra il fronte di ciascun esercito sul fronte dell'Alaska gli scienziati hanno creato una cupola di tensione elettrica, un campo magnetico. Qualsiasi bomba o proiettile attraversi quel campo raggiunge il calor bianco pre via delle correnti elettriche parassite indotte dal campo, ed esplode subito a mezz'aria.
"Allo stesso modo, ogni città è protetta da questo campo Beckerley. Sai bene come qualsiasi auto-cottero, una volta uscito dai confini cittadini di San Francisco, debba fermarsi ed essere sospinto fin oltre il campo magnetico da una metropolitana schermata. Si effettua questa operazione per evitare che la benzina del serbatoio si riscaldi fino al punto di esplodere".
"I proiettili solidi invece?" chiese Sally.
"Quelli possono attraversare il campo, ovviamente, ma quale possibilità ha un tale proiettile di infliggere danno? Basterebbero i nostri elicotteri ad abbattere qualsiasi flotta aerea nemica ben prima che questa possa arrivare a sganciare abbastanza proiettili solidi da arrecare un danno apprezzabile a una qualsiasi città. E il massimo che una parte o l'altra potrebbe causare in Alaska è scheggiare qualche parete montuosa nello Yukon.
"No, siamo in situazione di stallo: abbiamo precluso al Khan l'accesso diretto al mare, ma il suo enorme esercito di terra ci impedisce un'invasione dell'Asia, e nessuna delle due fazioni può avanzare di un metro in Alaska per via dei campi magnetici. Non può nemmeno trasformarsi in una guerra d'attrito, perché sia gli Stati Uniti che l'Unione Asiatica sono del tutto autosufficienti e non c'è modo di prenderle per fame".
"Ne sei convinto?" chiese Sally Amber con una strana voce. All'improvviso scrollò le spalle, lisce e abbronzate, come se volesse cambiare argomento. "L'ammiraglio Allen sarà qui sabato?" domandò casualmente.
"Come? No, non credo..." Lister si trattenne. Allen gli aveva parlato, in modo strettamente confidenziale, di un possibile attacco per tagliare la linea di rifornimento asiatica in Alaska, con un assalto concentrato sullo stretto di Bering; la flotta del Pacifico, tenuta in riserva fin dal successo alle Marianne, sarebbe salpata in gran segreto all'alba di sabato.
"Perché fai una domanda del genere?" sbottò infuriato. "Se anche lo sapessi, non potrei dirtelo, e lo sai benissimo".
La ragazza scoppiò a ridere. "Sciocchino!" lo canzonò, "Solo che mi era venuta l'idea di invitare te, lui e quel detective volante, Jim Cass, per una cenetta a casa mia sabato. Sai, non ho ancora incontrato Cass, e me ne hai parlato così tanto da farmi incuriosire. Dopo tutto è tuo amico, Dick..."
Gli sorrise molto tenera.
Lister scosse la testa. "Il capitano Cass non è mio amico" dichiarò. "E' solo un ufficiale dei servizi segreti militari che passa di tanto in tanto dal mio laboratorio e ci ficca il naso in cerca di indizi e problemi. Mi fa venire i brividi. Non ho mai conosciuto un uomo più freddo di lui! Non esiterebbe un istante a mandare sua madre davanti al plotone di esecuzione, se così facendo vincessimo la guerra".
"Beh, tu e io non faremmo lo stesso per il nostro Paese? E poi, è proprio la sua freddezza a intrigarmi. Voglio incontrarlo".
"Fa' pure. Hai tempo per un'altra nuotata?"
La ragazza atteggiò le labbra a una smorfia di disgusto. "Oh no!" esclamò senza indugio. "L'acqua è così piena di quell'orribile fanghiglia verde che non mi va proprio di nuotare. Torniamo in città".
"E' vero, fa schifo," ammise il compagno. "ma è soltanto un tipo particolare di alga. Ne sono state trovate tracce perfino nell'acqua potabile. E' innocua, ma dovrebbero disinfettare la riserva d'acqua cittadina". Si alzò e si stiracchiò. "Allora vestiamoci e andiamo".
Non erano ancora le due del pomeriggio quando l'elicottero convertibile di Sally atterrò davanti all'edificio presso il Presidio che serviva da ufficio e laboratorio dell'unità locale del Dipartimento di Biologia e Batteriologia Militare. Lister scese con riluttanza dall'apparecchio e si girò subito verso la ragazza seduta alla cloche.
"Stasera?" le chiese speranzoso.
Lei scosse la testa: "No, mi dispiace. Sono a cena con amici di famiglia".
"Allora domani?"
"Non dovrei. Io..."
"Ma lo farai" la interruppe deciso. "Soltanto il cielo sa quanto potrò restare bloccato qui e non voglio sprecare un solo istante".
"Come?" chiese Sally brusca. "Credi che ti trasferiranno?"
L'uomo si morse la lingua. "No, ma..."
Arrivò benvenuta una distrazione. Si girò a salutare un ufficiale in abito scuro, dall'aspetto piuttosto inquietante, che scendeva dai gradini dell'edificio.
"Sally, ecco il capitano Cass. Pensavo proprio di trovarlo qui oggi! Signore, lei è Sally Amber, la persona di cui mi ha sentito parlare moltissimo".
Jim Cass prese la mano che la ragazza gli porse. "Non mi meraviglio affatto che Dick abbia perso la testa" disse, fissandola con apprezzamento con i suoi gelidi occhi azzurri. "Mi scuso per aver creduto che fosse impazzito. Non pensavo che avesse tanto buon gusto..."
Lo sguardo del capitano si trasformò subitamente in un'espressione interrogativa. "Ma... non ci siamo già incontrati?"
"Se così fosse stato" rispose la donna, prima di iniziare la manovra di partenza, "non me ne sarei certo dimenticata".
Cass rimase lungamente a fissare l'elicottero ben dopo che era diventato un punto indistinguibile nella fiumana del traffico aereo.
Non era più vicino alla soluzione quando incontrò Lister il giorno seguente. Il biologo, in camice da laboratorio, era impegnato nella routine di controllare i campioni d'acqua di una mezza dozzina di città costiere, e non aveva praticamente tempo di stare a sentire il superiore.
"Oakland" bofonchiò, "conta batterica sette per c.c., nella norma. Monterey, undici, nessun problema. Vera Cruz... diamine, ha mai visto così tante alghe nell'acqua potabile? Guardi quel bricco sul davanzale. E' meno di due ore che è esposto al sole e l'acqua al suo interno è già diventata una purea di piselli. E c'è di più: i rapporti da Chicago mostrano una situazione identica.La cosa strane è che sia lo stesso anche a Londra".
"Cos'è quella roba sugli alberi?" chiese pensieroso il superiore, guardando distrattamente fuori dalla finestra. "Non l'ho mai vista prima".
"Già, l'ho notata anch'io. E' solo un lichene, una specie di muffa. E' una pianta crittogama, cioè rilascia spore. E' imparentata con... Mio Dio! E' anche lei una conferva, proprio come l'alga!"
"Beh? E allora?"
"Niente, solo che la stessa cosa che ha stimolato la proliferazione delle alghe in mare e nell'acqua potabile, ha fatto lo stesso anche con i licheni e i funghi. Le crittogame sono il tipo di piante che è apparso sulla Terra nel Carbonifero, l'età del carbone".
"Siamo quindi forse di nuovo nell'età del Carbone, quindi?"
"Ne dubito" rise Lister. "Ci sono numerose teorie riguardo allo sviluppo di quel periodo, scaturito forse a causa di un'elevata concentrazione di diossido di carbonio nell'atmosfera, o di un clima tropicale su scala planetaria, oppure di un'attività molto intensa delle macchie solari, capaci di indurre frequenti e violente tempeste elettriche sulla Terra e quindi una produzione anormale di ozono. Quest'ultimo è una forma particolarmente densa di ossigeno ed è capace di filtrare i raggi della morte..."
"Raggi della morte?" esclamò il capitano, drizzando le orecchie. Aveva prestato scarsa attenzione al monologo di Lister, ma quelle parole lo spinsero a concentrarsi: era qualcosa che il servizio segreto militare doveva sapere. "Raggi della morte?"
Lister scoppiò di nuovo in una risata. "Non del tipo che possa interessare all'esercito" rispose. "Ma esistono dei raggi solari invisibili che hanno effetti fatali sulle creature viventi. L'ozono li filtra e li rende innocui.
"E' una delle rimarchevoli capacità della natura quella di mantenere un bilanciamento sufficiente di ozono negli strati più alti dell'atmosfera per tenere lontana la quantità di luce invisibile che risulterebbe fatale per la vita umana, e nel contempo lasciarne passare abbastanza per contenere la proliferazione delle alghe entro dimensioni accettabili. Ora, se... diamine! Mi chiedo..."
"Che cosa?"
"Oh, niente. Assolutamente nulla"
"Lister," disse Cass senza giri di parole, "lei sembra capace di tenere la bocca sigillata riguardo a parecchie cose e con determinate persone. Mi domando se riesce a fare altrettanto con lo donne".
"Cosa intende dire?" chiese il tenente, con una fosca premonizione.
"Beh, per esempio, non ha detto qualcosa alla signorina Amber riguardo alla partenza della flotta, vero?"
Il biologo arrossì. Non l'aveva fatto, in realtà, ma la donna avrebbe potuto intuire qualcosa dai suoi commenti. Ma anche se fosse stato così, che problema c'era?
"Certo che no" farfugliò. "Parlando della flotta" aggiunse, "sono proprio sul punto di andare dall'ammiraglio Allen".

Arrivato nell'ufficio dell'ammiraglio, Lister giunse subito al punto. "Signore, ho meditato a lungo sul problema delle alghe e con questo ritmo di proliferazione, la vostra intera flotta potrebbe restare bloccata in una massa gelatinosa prima di arrivare allo Stretto di Bering".
"Ci avevo pensato anch'io" rispose serio Allen, ma con una leggera strizzatina d'occhio che Lister non fu in grado di comprendere.
"Ma avete ascoltato gli ultimi rapporti, signore?" insisté il tenente. "Il fiume Chicago è intasato e quella roba sta cominciando a penetrare nei bacini acquiferi di tutte le maggiori città. So che inizia a diventare un fastidio anche qui a San Francisco. In Texas, questa muffa è arrivata a raggiungere dimensioni e peso sufficiente a schiantare i rami degli alberi.
"In tutto il Paese, i binari ferroviari si stanno trasformando in letti gelatinosi di un assortimento di funghi, vesce e licheni di centinaia di specie diverse. Il loro successivo imputridirsi ha causato numerosi deragliamenti. Nelle zone più umide, i treni sono costretti a scavarsi la strada attraverso cospicui accumuli di licheni, che hanno trovato nelle fessure ombrose e nel legno già vecchio un microclima ideale per sfruttare al meglio la loro recente vitalità".
"In Asia le cose vanno anche peggio" fu la replica dell'ammiraglio. "Dicono che nella tundra i licheni crescano come fienili sulle rotaie, mentre le alghe hanno bloccato i fiumi, causando inondazioni. Ecco il motivo per cui, anche a rischio di vedere tutta la nostra flotta bloccata nel pantano, dobbiamo attaccare il Khan mentre questa inspiegabile crescita vegetale mette in pericolo le sue linee di rifornimento".
"Non lo sapevo" commentò Lister.
"Beh, se lo imprima bene in mente e non lo spifferi ad anima viva. E' una notizia riservata che è appena arrivata dai servizi. Ha una qualche idea del motivo di tutto ciò? La stavo giusto mandando a chiamare, quando è sbucato qui".
"Qualcosa potrebbe aver causato un incremento anomalo dell'ozono negli strati superiori dell'atmosfera, e questo probabilmente scherma le lunghezze d'onda della luce solare che generalmente servono a controllare la crescita delle alghe".
L'ammiraglio Allen, però, era uno di quegli uomini pratici che non avevano nessuna voglia di ascoltare una qualsivoglia spiegazione scientifica, quindi suggerì:"Non potrebbe trattarsi di una qualche diavoleria bellica degli asiatici?"
"Ne dubito fortemente, signore. Il Khan non userebbe certamente un'arma, che sembra colpire più lui di noi".

II
Quella sera, mentre Dick Lister e Sally Amber sedevano al ristorante, la donna tirò nuovamente in ballo l'argomento alghe.
"Sento dire che in Asia va peggio che qui in America" esordì.
"E come fai a saperlo?" chiese l'ufficiale sorpreso.
"Quindi è così, allora? Oh, non tutti tengono la bocca sigillata come te, Dick" rispose schiva, poi sollevò i suoi amabili occhi scuri, innocenti.
"Pensi che possa essere un'arma asiatica? O forse, visto che in Siberia sembra stiano peggio che qui da noi, un ordigno americano?"
Imbarazzato, mormorò: "E come faccio a saperlo?"
"Ma ne sai qualcosa, vero?"
Colto di sorpresa, balbettò: "Eh? Oh, certo, come no. I campi Beckerley..." Ma smise subito, incupito e irritato.
"Sally" grugnì, "questa tua curiosità tutta femminile un giorno o l'altro finirà per metterti nei guai. Siamo in guerra e la curiosità delle donne non è una scusa per torchiare gli ufficiali. So che sei onesta, ma altri potrebbero non fidarsi di te. Ti piacerebbe forse trovarti davanti a una corte marziale con l'accusa di essere una spia asiatica, solo perché fai un po' troppe domande?"
"Forse lo sono" rispose la ragazza, con un sorriso e un'alzata delicata delle sopracciglia disegnate.
"Non sto scherzando, Sally. Ci sono persone finite contro un muro per molto meno".
"Capisco" disse asciutta, "il capitano Cass ti ha fatto una ramanzina".
"Come..." iniziò il tenente, ma subito si morse un labbro.
"Come faccio a saperlo? Oh, riesco a leggere voi uomini come un libro aperto. Ogni donna può farlo. Non piaccio al capitano Cass e a me non piacciano gli uomini a cui non piaccio".
Finse un broncio indignato. Quant'era adorabile.
"Sono contento che tu non gli piaccia" dichiarò Lister. "Anzi, sarei proprio felice se non piacessi a nessuno, tranne a me".

Si ricordò di quella conversazione la sera successiva, quando Cass entrò rumorosamente nel suo laboratorio, dove stava tirando tardi per alcune analisi.
"Gran bel casino di alghe" osservò Cass, strizzando gli occhi verso la vasca da esperimento di Lister. "Dicono che quella roba stia bloccando ogni baia dell'Atlantico".
"Si poteva quasi attraversare a piedi il Golden Gate, stamane" rispose Lister, per poi proseguire con altri particolari ricavati dalle ultime notizie: orari dei treni completamente sfalsati nel nord-ovest, navi bloccate in porto in ogni parte del Paese, perfino in mare aperto, soprattutto nel Pacifico settentrionale.
Ma il capitano Cass non lo stava ascoltando. Era curvo sopra la scrivania di Lister, a fissare con attenzione qualcosa coperto dal vetro: una foto.
"Cos'è?" chiese brusco.
"Solo una foto di Sally. Non molto buona; la stampa è venuta sgranata".
"Um!" esclamò l'altro. Strinse gli occhi, poi aggiunse su tutt'altro argomento: "Ha una qualche teoria su questa proliferazione anomala delle alghe?"
"Sì" ammise Lister, stringendo giudiziosamente le labbra. "Ma non intendo rivelarla se non quando sarò più sicuro dell'ipotesi. Dopo aver verificato alcuni elementi, farò rapporto a Washington, non ai servizi segreti".
"Bene. Visto che non intende rivelare nulla ai servizi, saranno loro a dirle qualcosa, per il suo stesso bene. Ascolti con attenzione e non perda le staffe: tre anni fa, prima della guerra, facevo parte della delegazione di Harbin, e fui in grado di apprendere molte cose sulla capitale orientale del Khan. Forse non ha mai sentito parlare della cosiddetta principessa Stephanie... oppure sì?"
"Sì. E allora?"
"Un attimo di pazienza. Stephanie era la figlia di Dimitri Kazarov, il cancelliere del Khan. Suo padre Restò ucciso quindici anni fa, durante la rivoluzione giapponese, e fu il Khan stesso a occuparsi della ragazza, fin quando raggiunse l'età adulta. La notizia fu tenuta segreta, ma in una città come Harbin la gente parla, e ne parlavano ancora durante il mio soggiorno. Sembra che il Khan le abbia dato un'educazione particolare... molto, molto particolare".
"Cosa intende?"
"Voglio dire che l'ha allenata per essere la più grande spia della storia. Le sono state insegnate tutte le lingue principali, in modo da poterle parlare come un madrelingua. Le è stato insegnato a destreggiarsi in qualsiasi situazione e in qualsiasi ambiente sociale. Ha imparato la scienza militare, in modo da essere in grado di riconoscere ogni informazione importante. E, non appena è diventato chiaro a tutti che si sarebbe trasformata in una donna dall'aspetto veramente affascinante, le sono stati insegnati anche tutti i segreti delle relazioni umane! Ma sopra ogni altra cosa, e badi bene, dico sopratutto, apprese come essere fredda, spietata e immune all'amore. Può recitare il ruolo della donna innamorata, ma non prova alcun sentimento reale. Nessun desiderio, se non quello di servire l'Asia".
"Ma, non capisco..."
"Capirà. All'età di sedici anni, ovvero tre anni fa, mentre mi trovavo ad Harbin, il Khan le proibì di mostrarsi in pubblico, in modo che gli stranieri non potessero riconoscerne il volto e sminuirne l'efficacia spionistica. Quando usciva per cavalcare, non era consentito a nessuno di stare entro un raggio di cinquecento metri da lei, e nessuno, salvo gli intimi del palazzo, hanno mai visto realmente la sua faccia.
"Ma" e Cass esibì un sogghigno realmente irritante, "si dà il caso che io abbia una vista straordinaria, degna di un osservatore di elicottero, e l'ho sfruttata per osservarla dalla distanza obbligata. Una volta ho perfino puntato un visore notturno su di lei. Era veramente bellissima".
"Inizio a sospettare, signore" intervenne cupo Lister, "che lei stia per dire qualcosa di cui potrebbe pentirsi".
"Forse. Comunque sia, dall'inizio della guerra, vi sono state numerose voci riguardo una brillante spia asiatica, una donna, chiamata Nightshade. Ritengo che questa Nightshade sia proprio la principessa Stephanie, e per il resto posso dirle solo questo: Sally Amber assomiglia moltissimo a Stephanie!"
"Lei è fuori di senno!" si infuriò Lister, alzando la voce. "E' ridicolo! Sally non è asiatica. Le sembra forse orientale? Ha la pelle bianca come il marmo... quando non è abbronzata, ovviamente. Parla un americano perfetto. I suoi occhi..."
Si fermò: aveva improvvisamente visualizzato gli occhi di Sally, scuri, puri, bellissimi, ma senza ombra di dubbio, dal taglio decisamente orientale.
"Proprio così" dichiarò Cass, in risposta al pensiero inespresso dell'ufficiale.
"Tenente, da quanto conosce quella ragazza? E' certo che l'abbronzatura sia tale, e non il suo colorito naturale? Non ha forse l'età giusta? E non trascorre forse gran parte del suo tempo a coltivare l'amicizia di persone come lei, in possesso di importanti segreti militari? Che poi riesca a carpirli, è un altro paio di maniche, ma dovrebbe essere in grado di stabilire se cerca di farlo, se pone mai domande importanti, o cose del genere".
"Certo che no!" sbottò Lister, che poi lasciò andare un sospiro. Lui stesso aveva preso in giro la ragazza più di una volta, per la sua eccessiva curiosità. "Senta capitano" disse, "se Sally fosse una spia nemica... so che non può esserlo, ma se lo fosse, devo essere io a scoprirlo, tanto la amo. La lasci stare, per favore, e lasci che lo scopra da solo".
"Non sono così cinico e spietato come crede".
"Come fa..."
"Come fa a sapere cosa pensa di me? E' il mio mestiere, in quanto agente dei servizi segreti, sapere cosa pensa la gente. Ma come dicevo, mi fiderò di lei. Stasera parto in missione e starò via per due giorni. Fino ad allora, il caso è in mano sua; ma se al mio ritorno non l'avrà risolto, sarò io stesso a occuparmene".
I dubbi tormentosi che gli si affastellavano in testa non ammettavano indugi. A dispetto del fatto che Sally doveva essere già uscita di casa per andare a cena, il tenente si precipitò al suo appartamento dall'altra parte della città. Evidentemente, invece, la ragazza doveva ancora trovarsi in casa, o quantomeno in casa c'era qualcuno, visto che le luci della biblioteca erano accese. Ignorò l'ascensore, troppo lento, e corse su per le quattro rampe di scale fino al suo pianerottolo.
Arrivò davanti alla porta sudato e affannato e sì fermò un istante, per provare a ricomporsi. Fu allora che udì delle voci provenire dall'interno dell'abitazione. Provò ad ascoltare, ma non fu in grado di distinguere le parole. Forse c'era un uomo, ma non poteva esserne certo.
Non appena suonò il campanello le voci si tacquero; poi, dopo un considerevole intervallo, Lister udì il suono di passi in avvicinamento. Fu Sally in persona ad aprire la porta, il volto apparentemente stanco e teso, che subito si allargò in un sorriso quando lo riconobbe.
"Dick!" esclamò. "Che succede? Sei senza fiato!"
Entrò senza chiedere permesso. La stanza era vuota, a parte loro due. "Con chi parlavi?" chiese cupo.
"Ero al televisifono. Perché?"
"Mi era parso di aver udito una voce maschile qui dentro".
"Dick!" esclamò in tono di rimprovero. "Non credevo che la tua gelosia arrivasse al punto di farti immaginare le voci". Alzò gli occhi scuri verso di lui, seria. "Sai che non hai nessun motivo per esserlo".
"Non si tratta di quello.." iniziò un po' a disagio, ma subito sbottò: "Sally, cosa ci facevi ad Harbin tre anni fa?"
Se vi fu un subitaneo balenio negli occhi della donna, fu praticamente impercettibile. "Come... ero in viaggio. Sai che amo molto viaggiare".
"Hai detto di aver visto Stephanie laggiù" continuò. "Ti ha mai detto nessuno che le somigli moltissimo?"
Ora gli occhi della giovane erano decisamente spalancati. "Cosa... sì, certo, l'ho sentito dire. Ma, Dick, non starai pensando..." scoppiò a ridere. "Che assurdità! Non penserai che io sia Nightshade, vero?"
"Chi ha mai parlato di Nightshade?" scattò. "Come fai a sapere che Stephanie e Nightshade sono la stessa persona?"
"Cosa? Tutti hanno sentito questa voce, Dick".
"Quindi tu sei partecipe di ogni pettegolezzo" ribatté amaro. "Come mai sei così tanto interessata a tutto quanto riguardi la guerra e i suoi segreti, qualsiasi cosa da quando salpa una flotta fino alla situazione delle alghe. Sally, tu mi nascondi qualcosa".
"Sei ridicolo!" replicò indignata. Poi, d'un tratto, cambiò umore, si avvicinò al biologo e alzò lo sguardo verso di lui, con gli occhi neri innocenti. "Ti fidi di me, vero?"
"Il Cielo sa che lo vorrei!"
Le labbra della ragazza, lucide e provocanti, sorrisero. "Allora baciami!" sussurrò.
Lui le obbedì con passione. Come al solito quelle labbra ardevano come fuoco, ma all'improvviso, Sally tirò indietro la testa e gli posò le mani sul petto, come per allontanarsi dal suo abbraccio. Una delle unghie scarlatte della ragazza gli graffiò la gola in modo profondo. Con uno sguardo sorpreso di dolore, Lister la lasciò andare.
"Mi stavi facendo male" spiegò la ragazza in tono apologetico, ma gli occhi osservavano il tenente come quelli di una gatta. "Mi dispiace di averti graffiato".
"Non è niente" bofonchiò lui di rimando. Si sentiva stranamente debole; non c'era da meravigliarsi, pensò, preda com'era di quelle emozioni così violente e contrastanti. Ma d'improvviso si trovò seduto su una sedia con la testa fra le mani, mentre la stanza sembrava ruotare attorno a lui come le pale di un elicottero.
Attraverso la nebbia delle vertigini udì la voce di un uomo, e poi la risposta di Sally. "No, no" diceva quest'ultima. "Così è molto meglio. Se ti avessi chiamato, ne sarebbe seguita una colluttazione e possibili spiacevoli conseguenze, mentre ora guarda come sprofonda lentamente nel sonno".
"Mi inchino alle tue capacità, Kazarovna" rispose l'uomo. "Esiste una sola Stephanie".
"Sono felice che sia andata così. E' l'unico che conosce il segreto delle alghe, e tra breve lo saprà anche l'Asia".

III
Quando Lister fu nuovamente consapevole del mondo che lo circondava, ne notò la natura instabile. Occorsero minuti prima che si rendesse conto di trovarsi su di un aereo che viaggiava sopra una distesa apparentemente senza fine di nuvole bianche e brillanti. Passò altro tempo prima che notasse Sally Amber seduta tranquilla a fumarsi una sigaretta, accanto al pilota del velivolo, mentre lui stesso era ammanettato molto efficacemente ai braccioli metallici del sedile. Era prigioniero degli agenti del Khan.
Il suo movimento attirò l'attenzione della ragazza, che si alzò e si avvicinò al sedile posto di fronte a lui.
"Spero che tu non stia troppo male" disse cortesemente. "Mi spiace, Dick, ma è stato necessario drogarti".
"Allora è vero!" esclamò con un gemito. "Sei Nightshade, la subdola spia asiatica".
"Proprio come sono subdole le spie americane" ribatté la giovane donna. "Dick, io servo il mio Paese al meglio delle mie possibilità, proprio come tu, quel Cass e il resto degli americani servite il vostro". Sorrise: “Quel capitano Cass è molto acuto, e ho paura che i suoi sospetti possano danneggiare la mia utilità in terra americana".
"Beh, non fin quando..." Lister si morse un labbro e si affrettò ad aggiungere, "Certo che sì. Prenderà le tue foto da casa mia e le passerà al dipartimento. Come spia, ormai sei bruciata, Sally".
"Oh, non è detto. Dimentichi che hai usato la mia macchina per scattarmi le foto. Quell'apparecchio ha una particolarità che fa sì che quando sono io a usarla, si ottengono scatti nitidi e precisi, mentre quando la lascio usare a un amico, ne escono stampe un po' sfocate. O non ci avevi fatto caso?"
Se ne era accorto, ovviamente; con scarsa allegria domandò. "Dove siamo diretti?"
"In Asia".
"Lo ritenevo, infatti. E' per questo che usiamo un aereo invece di un elicottero". A parità di dimensioni e di potenza, Lister sapeva bene come gli aeroplani fossero più efficienti degli elicotteri, e il fatto che Sally avesse scelto l'aereo presupponeva un lungo viaggio.
"Perché?" chiese il tenente dopo un breve silenzio.
"Non lo sai? Perché abbiamo bisogno che tu ci riveli determinate informazioni. Sono sicura che offrirti salva la vita non serva a nulla, Dick, ma ti prometto sarà così, se può fare qualche differenza".
"No" rispose tetro. "Non venderò il mio Paese solo per salvarmi la vita. Comunque, non ho la minima idea di quale informazione potrei darvi. I vostri batteriologi sono bravi almeno quanto i nostri, visti i risultati delle reciproche epidemie".
La ragazza scosse i lunghi capelli neri. "Non si tratta né di batteri né di epidemie, Dick, ma di alghe!"
"Alghe! E perché?"
"Perché tu sai la ragione di questa piaga fangosa nelle acque mondiali e dei licheni e delle muffe sulla terra. E' un'arma americana, e l'Asia vuole conoscerne il segreto. Per noi vale più di qualsiasi altra cosa!"
"Sul serio?" domandò accorto Lister. "E come mai?"
"Non fare il finto tonto, Dick. Sai benissimo quali danni stia provocando la proliferazione anomala dei licheni in Siberia. Ostruisce le linee ferroviarie, proprio come le alghe bloccano il traffico fluviale. Sai come sia importante per noi rifornire di benzina e di carbone la nostra forza di spedizione in Alaska, per mantenere attivi i campi Beckerley, e sai anche che se le nostre industrie petrolifere dovessero arrestare la produzione per mancanza di carburante, la guerra finirebbe. Saremmo sconfitti.
"Voi Americani usate il carbone dell'Alaska, ma il nostro deve arrivare dalle montagne Stanovoi, o attraverso il Mare di Okhotsk, o per ferrovia attraverso Dezhnev. E inizia a diventare impossibile mantenere attive le ferrovie, visto che la Siberia è strangolata da quel maledetto lichene".
"E passare per la via d'acqua?"
"Acqua! Le navi sono bloccate in tutti e sette i mari. Guarda laggiù!".
Abbassò lo sguardo e attraverso un ampio squarcio fra le nuvole vide il Pacifico, oltre tremila metri più in basso sotto al vetro del pavimento. Il mare aveva un aspetto strano: non era blu, ma verde brillante. Stringendo gli occhi per scrutare meglio, riconobbe due piccoli vascelli immobili sulla distesa verde.
"Siamo a questo!" mormorò fra sé, chiedendosi in quale situazione si trovasse la potente flotta di Allen. Avrebbe provato a penetrare quel mare congestionato? A Sally disse: "Benissimo. Per quel che mi riguarda, più la Siberia finisce strangolata, meglio è".
Per la prima volta da quando la conosceva, notò un leggero segno di irritazione sul viso della ragazza. "Ti tireremo fuori il segreto, puoi starne certo, Dick!"
"E tu saresti" disse pensieroso, "la dolce, piccola Sally Amber, che aveva detto di amarmi".
All'improvviso, il volto della giovane si distese e si addolcì. "E se ti amassi?" sussurrò. "Questo farebbe qualche differenza per te, Dick?"
L'uomo rise con amarezza. "Pensi forse che ti creda? So tutto della principessa Stephanie e del suo addestramento. Ammesso che tu ami qualcuno, questo è solo il Khan!"
"Non il Khan, ma l'Asia" rispose la donna. "Lui non conta nulla per me, se non per il valore che ha per la mia nazione. E' stato proprio lui, Dick, a istruirmi fin da piccola per diventare immune all'amore. Eppure... eppure, Dick, non ho mai incontrato nessun uomo che mi sia... piaciuto... come mi piaci tu. Hai meno valore dell'Asia, certo, ma più di qualsiasi altro uomo al mondo".
"Ecco un'altra delle tue bellissime bugie" asserì pieno di dolore.
Per un lungo istante, Sally rimase in silenzio, poi infine rispose: "No, non è una bugia", per poi alzarsi e tornare al suo posto accanto al pilota.

Non rivolse più alcuna parola a Lister per le successive sette ore, fin quando si trovarono a passare sopra Honshu e il Fujiyama coperto di neve. Allora, tornò a sedersi sul sedile di fronte al tenente con un sorriso molto gentile, e disse dolcemente. "Sono realmente molto dispiaciuta per questa situazione, Dick".
"Quando invece dovresti essere trionfante" replicò l'uomo acido.
"Ma non lo sono. Ascoltami, Dick. Il servizio segreto del Khan non è molto gentile con i prigionieri. Gran parte degli agenti sono mongoli e la cortesia non rientra fra i loro metodi per ottenere informazioni. Pensare che tu possa essere sottoposto a torture mi fa star male, Dick".
"Avresti dovuto pensarci la sera scorsa".
"Ma posso evitartelo. Se mi dici quello che voglio sapere riguardo a questa epidemia di alghe e licheni, ti prometto un salvacondotto. Non è forse questa la soluzione migliore per entrambi?"
"No, Sally. Non ammetto di avere le informazioni che vuoi, ma puoi star certa che, le abbia o meno, non dirò mai nulla che possa aiutare l'Asia".
Con un sospiro la ragazza si allontanò e i suoi splendidi occhi lasciarono trapelare una traccia di preoccupazione, ancora presente quando sull'orizzonte spuntò la catena dei Khingan e l'aereo scese per atterrare ad Harbin. Sembrò perfino impallidire quando infine una guardia dagli occhi a mandorla prese la chiave e liberò Lister dal sedile. Continuò a seguire con lo sguardo quella cupa parata, mentre una mezza dozzina di uomini scortava Lister nella secolare fortezza di pietra che serviva da prigione militare.
Sally non entrò nella cella dalle pareti di pietra, ma non appena la porta si chiuse, Dick ne colse il pallore mentre era ferma in corridoio. Le labbra della ragazza formarono una frase silenziosa e il tenente avrebbe potuto giurare che fosse "Mi dispiace".
Beh, era senza dubbio troppo tardi adesso perché quella tristezza potesse aiutarlo, anche se adesso era convinto della sua sincerità. Sorrise amaro nel pensare al clamoroso sbaglio che aveva portato alla sua cattura: le alghe e i licheni. L'Asia era strangolata nella morsa di un'epidemia nata da una causa così semplice, che avrebbe potuto porvi rimedio anche un bambino della scuola media.
Fortunatamente per l'America, le crittogame crescevano più abbondanti in Asia e, finché non avesse parlato, il vantaggio sarebbe stato tutto dalla parte del continente occidentale. Finché non avesse parlato! Smise di sorridere e serrò la mascella. Non avrebbe parlato; tortura o meno, doveva essere abbastanza forte da mantenere il silenzio.
Passarono le ore e il tenente udì conversazioni nel corridoio adiacente, ma effettuate in una qualche lingua asiatica, di cui non afferrava assolutamente il senso. Poi, un passaggio casuale nella lingua franca gli fece sapere che il Khan non si trovava ad Harbin, ma era ancora al fronte, con le truppe in Alaska. Alla fine, una guardia gli portò una brocca d'acqua, pullulante di alghe verdi, e un tocco di pane secco. L'uomo però, un mongolo, non parlava né l'inglese né la lingua franca, o almeno si rifiutò di farlo.
Era ormai notte fonda quando quattro orientali dall'aspetto tetro e un imperturbabile siberiano lo condussero dalla cella fino a una camera che sembrava affondare nel sottosuolo. Era illuminata da un'unica debole lampadina, mentre una decina di paia di occhi gelidi lo sondavano – ma un paio non erano così. Sally Amber sedeva a capo del tavolo lungo e stretto, e incontrò lo sguardo di Lister con occhi grandi, preoccupati e ansiosi.
Fu lei a rivolgersi a lui: "Dick" esordì dolcemente, "Ho detto a questo comitato interlocutorio che avresti rivelato tutto quello che sai sull'epidemia di alghe e muschi. Mi hanno promesso la tua salvaguardia, nel caso tu parli, e ho assicurato il compagno Plotkin che tu lo farai".
"Un'altra menzogna, come al solito" replicò cupo Lister.
Fu Plotkin a intervenire con la voce che giungeva dal profondo della barba. "Vedi, Kazarovna" brontolò, "con queste ostinate scimmie americane funziona un solo metodo. Credo sia meglio usarlo".
"Oh, no!" esclamò spaventata Sally. "Consentimi di interrogarlo, prima. Con me parlerà. Posso sapere quel che ci serve. Ti prego..." Si interruppe d'improvviso mentre gli occhi gelidi di Plotkin sembravano esplorarla incuriositi.
"Parlerà?" chiese a Lister, poi visto l'ostinato silenzio dell'interrogato, aggiunse, "Molto bene. Penso che partiremo con le pinze per ascelle. Qualche etto di carne strappata dai luoghi opportuni spesso consente la fuoriuscita di un profluvio di informazioni".

Sally – o Stephanie – soffocò un singhiozzo e si coprì gli occhi. Le quattro guardie mongole costrinsero Lister a sollevare un braccio; per un momento l'uomo provò a lottare, ma capì subito come ogni resistenza fosse del tutto inutile. Il flemmatico siberiano afferrò un piccolo strumento luccicante e le pinze strapparono un brandello di carne da sotto l'ascella. Il tenente si morse ferocemente le labbra per sopprimere il ruggito di dolore che cercava di uscire, ma non si sentì alcun suono nella camera, se non il soffuso singhiozzare della ragazza.
"Come mai sei così colpita, Kazarovna?" domandò amabilmente il siberiano. "Certo la principessa Stephanie deve aver assistito a metodi di tortura molto più estremi di questo".
La ragazza sorrise debolmente. "Certo, è solo che non mi sono ancora ripresa dal soggiorno americano... che posto orribile!"
Plotkin annuì e rivolse nuovamente l'attenzione al prigioniero. "Vogliamo provare di nuovo?" sorrise. "O preferisce una qualche variazione?"
"No di certo" rispose il biologo, "parlerò". Senza batter ciglio incontrò gli occhi prima sorpresi, poi sollevati e comunque increduli della ragazza. Se recitava, pensò, era realmente molto brava.
"Bene... benissimo!" brontolò il siberiano. "Si sta dimostrando molto più saggio, o comunque meno ostinato, di gran parte dei suoi conterranei che ci è capitato di dover interrogare. Bene, dunque. Ascoltiamo il segreto".
"E' meglio che prenda nota con attenzione" consigliò Lister. "E' piuttosto complicato".
Attese, mentre Plotkin parlava in russo con l'uomo al suo fianco, poi cominciò:"L'epidemia di alghe e licheni" disse lentamente, "è dovuta all'enorme incremento di tallogeni. Se riuscite a controllare le confervae, il problema sparirà".
"E cosa sono i tallogeni?" abbaiò Plotkin.
"Sono la terza grande suddivisione delle crittogame. Il gruppo contiene, oltre alle confervae, anche ulvae e fuci".
"Non può spiegarlo in un linguaggio comprensibile?" sbottò il russo.
"Posso esprimere informazioni scientifiche solo con il linguaggio della scienza" replicò il biologo, mentre i suoi occhi non si staccavano da quelli, affascinati, della ragazza. "Dovranno essere i suoi scienziati a tradurglielo".
"Tutto qui?" chiese bramoso il siberiano.
"Tutto qui. Riducete le confervae e ci saranno meno tallogeni. Quando questi saranno diminuiti, alghe e licheni cesseranno di essere un problema. In realtà, è molto semplice".
"Riportatelo in cella" brontolò Plotkin. "E' meglio che quello che ha detto sia vero, amico, a meno che non voglia assaggiare un'altra porzione del trattamento".
"Ogni parola che ho pronunciato è vera" asserì convinto l'americano.

Era ancora notte fonda, tre ore dopo, quando la porta della cella si aprì e rapida e furtiva entrò una figura magra e sottile. Per un attimo, Lister pensò fosse un ragazzo, poi riconobbe Sally con indosso la camicia e i pantaloncini di un pilota di elicottero. Si chiuse silenziosamente la porta alle spalle e si gettò di corsa fra le sue braccia.
"Non lo sopporto" singhiozzò. "Perché lo hai fatto? Plotkin è furioso, pazzo di rabbia. Ti scioglierà nell'acido un pezzo alla volta! Lui... Lui... Perché lo hai preso in giro, Dick?"
Lister osservò il viso pallido della giovane donna. "Anche questa è una recita?" chiese freddamente. "Dopo tutto, la principessa Stephanie, Nightshade, non dovrebbe certo interessarsi a quale sia il destino di un uomo".
"Invece sì! Ti amo, Dick. Non mi importa di niente altro se non di te e dell'Asia, ma non posso permettere che tu venga torturato e ucciso, neppure per il bene del mio Paese". Si fermò, sopprimendo i singhiozzi.
"Plotkin è un maniaco" proseguì. "Ha mandato una copia della tua dichiarazione all'università di Tsitsihar e ha ricevuto la sprezzante risposta che le tue parole significano che l'epidemia di alghe è dovuta a un incremento delle alghe".
L'uomo sorrise: "Allora? Non è forse vero?"
"Sì, ma... Oh Dick, sta diventando terribile! Hanno mantenuto il rifornimento d'acqua alle città aggiungendo cloruro di calcio alle scorte idriche, ma in tutto il paese, in tutto il mondo credo, i pozzi sono soffocati e i fiumi oppressi dalla vegetazione, e gli oceani stanno diventando delle pesanti masse di fanghiglia. Per non dire poi di come in terra le muffe si espandano come fiamme di fuoco grigiastro!"
Era ancora sospettoso, per quanto stringesse saldamente a sé la giovane. "Stai tentando di commuovermi?" chiese. "Ti avviso, Sally, non ti dirò nulla".
"Non mi interessa che tu lo faccia o meno! Non capisci, Dick! Ti amo!"
"Se mi ami, allora aiutami ad andarmene da qui".
Sally si liberò dalla stretta con una spinta e lo fissò indignata per la sua sfiducia. "E perché altro pensi che sia venuta?" domandò a voce molto bassa. "Seguimi, svelto, prima che Plotkin si sia calmato abbastanza da concentrare la mente sui particolari della tua tortura".
La ragazza si avvicinò alla porta e bussò più volte. Si aprì subito e scivolarono lungo il corridoio fiocamente illuminato, accanto a una giovane guardia russa, che guardò Sally con occhi rapiti. La donna gli rivolse poche parole e l'uomo distese il braccio nudo; Sally lo graffiò rapida con una delle sue unghie. Lister vide l'uomo sprofondare lentamente in un ammasso inerte sul pavimento.
"Così sembrerà un trucco americano" spiegò con un sussurro la giovane donna, "ma temo che sarà comunque messo al muro come traditore".
"Perché lo ha fatto?"
"Perché mi ama" fu la semplice risposta.

Lister la seguì su per una stretta scalinata in pietra, chiedendosi quante porte sbarrate in quel corridoio nascondessero prigionieri americani. Alla fine, la ragazza si fermò. “Aspetta qui” sussurrò e sparì dietro un passaggio nascosto.
Udì una conversazione a bassa voce in cinese, poi Sally fu di nuovo al suo fianco. “Vieni” lo invitò a bassa voce. “L'ho mandato da Plotkin con un finto messaggio”.
Lister la seguì su per un'altra scala, al termine della quale emersero improvvisamente alla luce delle stelle. Erano arrivati sul tetto della struttura e l'americano guardò con apprensione Harbin e le sue luci notturne. Sally correva verso un piccolo elicottero da ricognizione, con spazio per il solo pilota.
“Svelto!” esclamò, “Dentro”.
“Tutti e due?” Il tenente aggrottò la fronte davanti a quel minuscolo velivolo.
“Sì, perché devo mostrarti cosa fare. Questo da solo non ti porterebbe certo molto lontano”.
Si strinse accanto a lei. La minuscola cabina oscillò come un pendolo, mentre il rotore principale fischiava e strideva, per poi farsi faticosamente strada verso l'alto. Sally azionò la propria luce lasciapassare verde, in ansiosa attesa di una risposta dal controllo a terra.
“Ecco!” indicò sollevata. “Hanno aperto una sezione del campo Beckerley. Ho un permesso di transito, ma se avessero scoperto la tua fuga, avrebbero potuto ostruire ogni passaggio; specialmente il mio, a pensarci bene; sono certa, infatti, che Plotkin non si fida più di me”.
Il velivolo si mosse nella notte con un suono lamentoso; le luci della città si fecero più rade e meno intense; alla fine la ragazza si rilassò, rilassandosi  accanto al compagno negli spazi stretti della cabina.
“Siamo passati oltre i fari di segnalazione” comunicò. “Adesso dovranno aspettare l'alba prima di inseguirci, e per allora potremmo essere in qualsiasi punto di questa metà dell'Asia, per quanto possono sapere. Se questo cavatappi reggesse ancora un po'...”
Lo fece e quando il sorgere del sole mandò bagliori rosati sopra il mare, erano proprio su di uno stretto promontorio che si allungava nell'acqua in direzione sud. Lister spalancò la bocca nel vedere il mare, perché senza dubbio era il più straordinario mai visto da occhio umano, o almeno da quando i plesiosauri avevano allungato il collo sopra gli oceani dell'era carbonifera, milioni di anni prima.
Era una luccicante distesa verde, che a prima vista sembrava immobile come il terreno solido; quando però il velivolo scese verso la spiaggia, Lister ne riconobbe un movimento, quello del lento sollevarsi e abbassarsi della fanghiglia, come se la distesa provasse a respirare. Non c'erano onde, perché le alghe avevano domato venti e tempeste, e il mare consentiva alla brezza di scivolare sopra le acque, come se fossero coperte da una pellicola oleosa. Il fatto che provocò un tremito disgustato al biologo fu la vista degli uccelli che si muovevano sparsi sopra la superficie fangosa ormai secca abbastanza da sostenerne il peso, e beccavano milioni di mosche.

Sally non sprecò tempo nel guardare il paesaggio. “E' la punta meridionale di Taiwan” disse, quando l'elicottero stava raggiungendo la spiaggia fangosa, “o come tu sei solito chiamarla, Formosa. Qui c'è una barca...”
“Una barca? E come potremo usarla in quella... quella cosa?”
“Stammi a sentire un momento. Quel capannone contiene un battello a ruota, un esperimento, un veloce adattamento operato dai nostri scienziati, che avevano previsto l'evolvere della situazione, se non fossimo stati in gradi di arrestare la crescita delle alghe. Questo tipo di marchingegno è in grado di far muovere uno scafo leggero proprio sopra le alghe. Non si ingolfano come dei normali motori. Ha un motore alla dinolina e una portata di oltre mille e cinquecento chilometri”.
“Mille e cinquecento chilometri! Non posso andare dove voglio con quella?”
“Puoi arrivare dove voglio che tu arrivi” ribatté la ragazza stringendo gli occhi. “Puoi raggiungere Hong Kong, che è inglese, oppure Haiphong, nell'Indocina Francese. Hong Kong è parecchio più vicina, però”.
“Ma si tratta di paesi neutrali! Sarei internato, se raggiungessi un porto neutrale. Invece voglio tornare al mio lavoro in America”.
“Io invece” replicò dolcemente Sally, “voglio impedire che tu possa farlo. Ho già tradito abbastanza la mia patria, senza permettere a un nemico pericoloso come te di tornare in servizio. Voglio solo vederti in salvo, Dick”.
Volse le spalle e lui la seguì fino al capannone che aveva indicato. Là c'era la barca, un battello di dieci metri, con delle ruote dotate di pale di quasi due metri di lunghezza, una versione in miniatura di un vecchio battello a vapore del Mississippi.
"Lo vedi?" chiese la ragazza, indicando uno strano marchingegno formato da tubi in vetro ricurvi. "E' un distillatore solare. Ci metti dentro dell'acqua di mare e l'evaporazione produce un vuoto parziale che consente di distillare acqua da bere. E' prodotta dal sole, proprio come la pioggia.
All'interno dello scafo vi sono provviste di cibo per circa un mese. Sei in grado di occuparti del motore? Se rimane ingolfato dalle alghe, devi fermarti e ripulirlo subito".
"Lo so, lo so, Sally, ma tu che farai? Sarai al sicuro dopo quanto accaduto?"
"Posso badare a me stessa" Il tono era perfino spavaldo, ma Lister capiva che dentro di lei c'era una lotta fortissima fra il senso del dovere e la passione amorosa. "Oh Dick" disse tremando, "se questa guerra mai finirà..."
"Non durerà ancora a lungo. Non appena i rifornimenti di carburante per l'Alaska smetteranno di arrivare, il Khan sarà costretto alla resa".
"Ah, ma lui sta per finire di inst..." Si fermò appena in tempo, terribilmente rossa in volto.
"Installare un oleodotto, vero?" completò la frase per lei il tenente. "Ero convinto che lo avrebbe fatto, prima o poi. In questo modo potrà rifornire di petrolio i campi Beckerley, vero?"
Sally rise amaramente. "La fine di Nightshade!" esclamò. "Non mi meraviglio che tutti temano una spia innamorata. Dick, è il primo sbaglio che abbia mai commesso, e l'unica consolazione è che prima che tu possa raggiungere un qualsiasi luogo in grado di trasmettere la notizia in America, sarà troppo tardi. Quindi... addio".
Con la sensazione delle sue labbra che continuava a inebriarlo, Lister guardò l'elicottero sparire verso nord; poi spostò l'attenzione sul battello che doveva usare, il cui nome era scritto in ideogrammi cinesi. Scivolò facilmente a bordo e senza ulteriori esitazioni accese il motore, azionò le pale e si mise in marcia.
Il suo avanzamento fu molto particolare. Le pale sollevavano enormi quantità di fanghiglia, che ricadevano dietro con dei tonfi sordi e privi di schizzi; il battello, spinto in avanti dall'incredibile potenza dei motori a dinolina, scivolò facilmente lungo quella superficie fangosa infestata da insetti. Non era neppure particolarmene lento: Lister calcolò di procedere a un'andatura di almeno venticinque nodi.
Formosa era ormai solo la parvenza di un'ombra lontana, quando passò al fianco della prima nave bloccata in mare. Era una fregata olandese e l'equipaggio – o quel che ne restava, visto che in gran parte doveva essersi messo in salvo con un elicottero – si assiepò lungo la balaustra per vederlo passare. Salutò, ma non ottenne alcun segno di risposta.
D'improvviso capì il motivo di quel cupo silenzio: il suo vascello portava le insegne oro e porpora del Khan, e l'Olanda, inserita nell'ombra estesa dell'Unione Asiatica come Borneo, Celebes e la Nuova Guinea non amava certo il sovrano.
La bobina si intasò e Lister si fermò per ripulirla dalle alghe. Ecco l'idea: si alzò in piedi e guardò lontano verso oriente, dove il mar della Cina incontra il possente Pacifico. Perché mai avrebbe dovuto andare a Hong Kong, Haiphong o un qualsiasi altro porto neutrale?
Che altre opzioni aveva? Osservò rapidamente la mappa delle Indie Orientali, fissata sopra il vano motore. C'era Luzon, certo, ma le Filippine, durante gli ultimi cinquant'anni di Indipendenza, si erano avvicinate parecchio all'Asia e non nutrivano particolari simpatie per gli Stati Uniti.
C'erano le Marianne, dove l'ammiraglio Allen aveva annichilito la flotta asiatica, e dove doveva sicuramente trovarsi una guarnigione americana, se avesse potuto raggiungerla. Ma distavano oltre tremila chilometri nel Pacifico, vicino a Guam. Aveva carburante per meno della metà di quella distanza, ma...
Girò il vascello e lo mise sulla scia del cargo olandese. L'equipaggio a bordo lo guardò avvicinarsi cupamente, ma lui si accostò alla chiglia e gridò: "Qualcuno di voi capisce l'inglese?"
Un uomo si sporse dalla ringhiera. "Sì! Cosa vuole?"
"Ascolti! Sono americano, non asiatico. Guardate!"
Non aveva uniforme, visto che i biologi non ne avevano bisogno, ma mostrò la targhetta identificativa, con lo scudo bianco, rosso e azzurro chiaramente in vista.
Ne nacque un fitto conciliabolo. "Cosa vuole?" chiese lo stesso uomo di prima, ma con tono più amichevole.
"Solo qualche informazione. Voglio sapere se c'è una nave inglese o americana bloccata fra qui e Guam. Vorrei comprare del carburante. Siete in contatto con qualcuna?"
Seguì una lunga conversazione in olandese fra i membri dell'equipaggio, alla fine, il tramite con Lister parlò nuovamente: "C'è la Resolute, inglese, ferma fra latitudine 21'20" e longitudine 135'60"."
Il tenente osservò la mappa e segnò la posizione. Sarebbe andata benissimo: si trovava proprio mille e seicento chilometri a est della sua attuale posizione, e certo avrebbe corso un azzardo con il carburante a disposizione, ma ne valeva la pena. Se avesse raggiunto la nave inglese e ottenuto il rifornimento di carburante, allora sarebbe sicuramente arrivato fino a Guam o alle Marianne, per dare la notizia agli americani del lichene che aveva bloccato le ferrovie siberiane, tagliando di fatto la linea dei rifornimenti di combustibile per i campi Beckerley dell'Alaska, ma che il Khan si stava affrettando a costruire un oleodotto per superare il problema.
Prima dell'abbandono del rifornimento di carbone e l'arrivo dei primi a petrolio, forse ci sarebbe stato un breve gap temporale, durante il quale i campi di forza nemici sarebbero rimasti spenti. Se l'America l'avesse saputo e colpito proprio in quel momento, la guerra sarebbe stata vinta. Lister doveva portare in tempo la notizia al proprio Paese!
Quindi spinse subito la nave in direzione est. Pian piano la nave olandese svanì in distanza e Formosa diventò una nube scura sempre più piccola e lontana. Alla fine si trovò solò in quella immensa distesa di mare verde e morto, a stento in grado di muoversi, tanto che il passaggio del battello non lasciava scia, se non una specie di ferita di un verde più scuro, che subito si richiudeva alle sue spalle. Non c'erano pinne a tagliare la superficie fangosa, e pochissimi uccelli volavano, visto che la loro preda cresciuta ad alghe era troppo abbondante per chiamarli lontano della terraferma.
Per conservare il carburante, fu molto preciso nel tracciare la sua rotta arcuata. Il fango maleodorante gli dava la nausea, cui si aggiungeva il perenne procedere dondolante del vascello. Il giorno si dissolse in una notte piena di stelle, per poi tornare a far giorno.
Riuscì nell'impresa. La mezzanotte del secondo giorno, con meno di un bicchiere di dinolina nel serbatoio, vide nell'oscurità le luci della Resolute.
Convincere il capitano, però, si dimostrò un'impresa più difficile della traversata.
"E' molto, molto irregolare!" brontolò l'ufficiale. "Siamo neutrali". Alla fine, comunque, visto che l'Inghilterra controllava l'India, gli stati della Malacca e Papua, e odiava l'Asia in ogni sua forma, vuoi per tradizione, vuoi per scelte politiche, il comandante inglese addivenne a più miti consigli e Lister fu in grado di riprendere il cammino con il serbatoio pieno.
Aveva provato a far trasmettere al comandante della nave un messaggio in codice via radio agli Americani, ma su questo punto l'uomo si dimostrò irremovibile.

IV
Il mattino seguente poco dopo l'alba, alzando lo sguardo dietro di lui scorse un velivolo, che si muoveva agile fra le ombre che ancora oscuravano l'occidente e il lontano mar della Cina. Presto, l'aereo fu sopra di lui e si mise a ruotare in cerchio, prima di gettarsi in picchiata con un'ampia spirala. L'aquila dorata a due teste, emblema delle forze aereee del Khan, luccicava sopra le ali.
Il velivolo si raddrizzò molto vicino e un braccio si mosse con forza, indicando l'ovest. Il pilota lo stava richiamando indietro.
Lister fissò l'aereo con occhi stretti a fessura, ma continuò a indirizzare la rotta verso l'obbiettivo previsto. Non l'avrebbero convinto tanto facilmente a tornare indietro. Era però in profondo disagio, visto che si trovava completamente alla mercé del pilota asiatico, nel caso volesse prima o dopo usare un proiettile o una bomba.
L'aereo tornò verso di lui nel corso della sua traiettoria curvilinea e all'improvviso, con grossa meraviglia, l'americano si accorse che stava provando ad atterrare su quella collosa massa di fango oscillante. Era impossibile!
Ma l'aereo sembrò capace di riuscirvi, visto che i galleggianti saltellarono leggermente sopra quella superficie insidiosa, rimbalzando verso di lui. Era praticamente ammarato, quando successe l'inevitabile. O l'aereo iniziò ad affondare, oppure il mare crebbe, Lister non fu in grado di capirlo, ma il muso dal motore spento sbatté contro la massa di fango verde. Con molta dolcezza, il velivolo sollevò la coda e iniziò ad affondare di muso, con le eliche che spargevano attorno robaccia verde. Il pilota – e Lister riuscì per un secondo a vederlo benissimo mentre la sua sagoma veniva catapultata in aria – finì dentro quelle alghe impassibili. Rimase solo un buco che si riempì subito di alghe e l'aereo che stava affondando.
Ma il biologo aveva visto abbastanza: era Sally Amber! Era proprio lei che lottava da qualche parte nella profondità di quel mare nauseabondo. Ma lui era del tutto impossibilitato ad aiutarla, come se si trovasse a mille chilometri di distanza.
Girò il timone e il battello sobbalzò e si fece strada verso il punto dell'affondamento. Si avvicinò il più possibile senza disturbare quell'increspatura della superficie che si stava rapidamente chiudendo e fermò lo scafo. Afferrò la corda da dieci metri che era fissata alla prora e legò l'altra estremità con forza al suo braccio. Poi, dopo aver fissato il punto esatto dell'inabissamento della ragazza, si tuffò nel fango.
Fu come nuotare in mezzo al petrolio. Anche solo muovere le braccia richiedeva uno sforzo titanico, e non riusciva a capire se scendesse, salisse, si spostasse lateralmente o semplicemente facesse ribollire l'acqua restando nella medesima posizione. Quella mucillaggine gli riempì il naso, gli occhi, le orecchie, perfino la bocca, quando in un momento di distrazione l'aveva aperta.
Poi la mano colpì qualcosa di solido e gli bastò un attimo per capire che si trattava della caviglia di Sally. La strinse forte con disperazione e diede uno strattone alla corda legata al braccio. Tirarsi su lungo la corda fu difficile, visto che aveva solo una mano a disposizione. Una volta perse la presa sulla corda, a causa del fango, e fu costretto a iniziare tutto da capo, ripartendo dal punto dove la fune era legata al braccio.
Fu a malapena in grado di capire quando raggiunse la superficie, per la quantità di fango che ormai lo ricopriva completamente. Spinse la ragazza oltre la balaustra e poi si fermò per ripulirsi il naso e la bocca e riprendere a respirare. Salì barcollando sulla barca.
Sally non era svenuta, ma era praticamente verde come le alghe che si stava strappando dagli occhi.
"Grazie Dick" disse, "per avermi salvato. Mi vergogno di averne avuto bisogno".
"Perché sei qui?"
Gli occhi della giovane divennero più duri. "Perché sei qui tu, Dick? Ti avevo detto di dirigerti verso Hong Kong o Haiphong".
"Non ti ho fatto nessuna promessa a riguardo, Sally".
"Forse, ma credi che ti possa lasciar andare verso una nave o un porto americano, con le informazioni di cui sei in possesso? E' già abbastanza brutto che me le sia lasciate sfuggire e che ti abbia aiutato a scappare, ma non tradirò l'Asia più di quanto non abbia già fatto, capisci?"
"Come mi hai trovato?
"Subito dopo averti lasciato, mi è sovvenuto che avresti potuto tentare un'impresa del genere. Sono tornata ad Harbin prima che Plotkin mi collegasse alla tua fuga – ammesso che non lo abbia già fatto – così ho potuto prendere un aereo. Ho sorvolato il mare cinese fra Taiwan e Hong Kong, per assicurarmi che non fossi lungo quella rotta, poi mi sono diretta a est.
"Per due giorni ho scandagliato l'area; sai, ho previsto che avresti scelto Guam come destinazione finale. Ma ora, Dick, andrai dove voglio io. Torneremo a Luzon. Le Filippine sono neutrali, ma simpatizzano per l'Asia; così potrò farti internare e con un po' di influenza, liberarmi e tornare a casa. Parti".
Lister obbedì e il vascello riprese la sua rotta verso est.
"Vira!" esclamò la ragazza infuriata. Al sorriso beffardo del compagno, rispose infilando la mano nel petto del suo giaccone da aviatore ed estrasse una piccola automatica giapponese, una calibro nove, piccola ma letale grazie ai suoi proiettili ad alta velocità ricoperti di cromo. "Cambia rotta, Dick!"
Con un movimento tanto imprevisto da sorprenderla completamente, l'uomo scalciò via la pistola dalla mano della ragazza; l'arma ruotò più volte prima di finire con un tonfo dentro il fango. "Andiamo dove voglio io, Sally" le disse calmo.
Sally iniziò a singhiozzare: "Avrei dovuto ucciderti! Ma non ci sono riuscita, ed ecco il risultato".
D'un tratto spalancò gli splendidi occhi scuri in direzione del compagno: "Dick, sai cosa mi accadrà se mi porterai a Guam? Sai cosa fanno alle spie? Vuoi che mi mettano con la schiena contro un muro?"
"Dio!" borbottò l'uomo. "Non ci avevo pensato. Ascolta, Sally. Le isole Peleu sono giapponesi e non distano molto dalla mia rotta. Ti farò arrivare là verso mezzanotte, ben legata e imbavagliata, in modo che tu non possa dare l'allarme. A guerra finita, mi auguro tu possa perdonarmi".
"Ti perdono subito Dick" disse, dolcemente, ma con una strana nota intrigante nel tono della voce. "Nightshade è morta. Non sono una buona spia, quando ci sei tu di mezzo. Ma ti avverto che proverò ancora a sconfiggerti".
L'uomo indirizzò la barca verso la nuova rotta. "Provaci pure, Sally".

All'improvviso si accorse di qualcosa che cambiò completamente le carte in tavola! Fissando in lontananza quell'orribile mare fangoso, si accorse di un cambiamento: oltre al verde, adesso si vedevano vaste chiazze marroni... erano alghe morenti!
Per un secondo non riuscì a comprenderne il significato, poi, tanto all'improvviso da far sobbalzare la compagna, gridò: "Capisco tutto adesso! E' successo!"
"Co...Cosa?"
"I campi Beckerley del Khan in Alaska si sono spenti! Le ferrovie siberiane sono state finalmente bloccate dalle muffe! Non ha più combustibile! Non possono essere i nostri campi a essersi spenti, perché le nostre miniere di carbone sono troppo vicine alle linee per poter essere tagliati fuori in questo modo".
"Come sai che i campi Beckerley sono spenti?" chiese Sally.
"Il... il..." si riprese e proseguì. "Non andremo alle Peleu, in fondo. Andremo a Guam. Questa notizia non può aspettare; non appena la notizia arriverà alle truppe americane, la guerra sarà finita. I nostri campi funzionano ancora, i vostri no".
"Come... come lo sai?"
"Te lo posso anche dire, tanto non potrai farci nulla. Volevi sapere cosa sapessi dell'epidemia, giusto? Beh, sto per dirtelo Sally. Non è un'arma americana: è stato un incidente".
"Un... incidente?"
"Esatto, o per meglio dire un effetto collaterale. E' il risultato dei campi di forza. Il dubbio mi era venuto dopo aver scoperto che il centro del problema sembrava trovarsi in Alaska. Lassù ci sono due enormi campi di forza a poche centinaia di metri l'uno dall'altro. Fra loro corre una linea di più di cento sessanta chilometri di terrificanti forze elettriche in competizione. Cosa ne deriva? Ozono! Tonnellate di ozono vengono riversate nell'atmosfera, tanto che l'intero involucro della Terra ne ha subito l'effetto.
"Lo strato consueto di ozono è aumentato di molto e ha tagliato fuori i raggi solari, che mantengono l'equilibrio nella natura. Sollevate dall'effetto di contenimento di questi raggi, le crittogame, licheni, muffe e alghe, sono proliferate in quantità anomala.
"Ma ora è finita: lo strato di ozono è particoalrmente instabile e torna rapidamente nei limiti naturali. E ora che diminuisce, i raggi solari, letali per quelle piante, stanno nuovamente attraversando l'atmosfera.
"Come faccio a saperlo? Le alghe muoiono e questo può indicare soltanto una cosa: che non ci sono più due campi Beckerley in competizione. Adesso ce ne è solo uno, il nostro. Lo scudo del Khan è sparito e non ci resta che attaccare!"
Sally era notevolmente impallidita. "Vorrei tu non me lo avessi detto" sussurrò. "Oh, Dick, non capisci che dovrò fermarti adesso? Se mi ami, buttami in mare, perché preferisco morire che passare le prossime ore a tentare di ucciderti!"
Il volto raggiante dell'uomo si fece serio. "Ore?" echeggiò. "Occorreranno tre giorni per arrivare a Guam. Sally, quando avrò bisogno di dormire, ti legherò ben bene. Spero tu non opponga resistenza, perché Dio sa quanto non intenda ferirti".
Ma la ragazza si comportò in modo molto remissivo quando lui, qualche ora più tardi, le passò una corda dietro polsi e caviglie. Ricordava benissimo il trucco dell'unghia drogata ed evitò con cautela di concederle un'altra opportunità a riguardo. Poi bloccò il timone e si rannicchiò sopra uno dei sedili per dormire.
Al risveglio, la barca procedeva docile lungo la fanghiglia. Sally era ancora legata strettamente e apparentemente nella medesima posizione, ma il fondo della barca era umido a causa di un qualche liquido incolore.
"Cos'è quello?" sbottò Lister.
"Il tuo carburante" rispose trionfante Sally. "Ho prosciugato il serbatoio".
Per un attimo l'uomo sussultò, ma subito scoppiò in una risata di sollievo. "Non è dinolina. E' solo l'acqua del distillatore solare che conservavo per le giornate nuvolose. Il serbatoio è sottovuoto e le alghe non possono entrarci".
Sally si lasciò cadere sulle ginocchia, sconfortata. "Vuoi slegarmi?" chiese cupa. "Ho i crampi".

Lister prese il rischio di dormire solo un'altra volta, e lo fece disteso lungo il serbatoio del carburante, dopo aver legato Sally, non solo mani e piedi, ma dopo averla fissata perfino al capo di banda. Nonostante questo al risveglio lei aveva distrutto con un calcio il distillatore solare.
“Perché lo hai fatto?” le domandò molto arrabbiato. “Anche se non abbiamo bisogno d'acqua per il giorno scarso di navigazione che ci resta, avrebbe potuto essere utile”.
“L'ho fatto perché, nel caso mancassimo Guam, saremo morti prima che un ricognitore americano possa trovarci”.
“Non mancheremo Guam” le promise acido.
Con il trascorrere della giornata, torrida e puzzolente, una pressione straziante cominciò ad aver la meglio su Lister. Intorno a loro, le alghe cominciavano a diventare marroni e il puzzo che ne derivava era assolutamente nauseante.
“Sto impazzendo” disse alla ragazza. “C'è uno stupido limerick che continua a rimbalzarmi nel cervello. Devo dirlo a qualcuno, o diventerò pazzo. Hai mai sentito la piccola, piccola storia della piccola alga? Immagino mi sia venuta in mente per questa marea di alghe in putrefazione”.
Sally gli rivolse uno sguardo da gatta inferocita, svegliata dal torpore dalla possibilità che il compagno potesse impazzire.
“Raccontamela pure” lo invitò infida.
Rise forte, quasi singhiozzando, scosse violentemente la testa e poi si passò il dorso della mano sopra gli occhi stanchi.
“Dice così: Un grande orso incontra una piccola alga, l'orso e l'alga, l'orso è panciuto, l'alga è corposa”
All'improvviso si lasciò andare a una grassa risata. “E' tutto sbagliato questa volta!” affermò. “Cielo! Stavolta l'orso non mangia l'alga, ma è l'alga che sta mangiando l'orso... quello siberiano. Lo faremo scappare con la coda fra le gambe, una volta giunti a Guam”.
“Non la raggiungeremo mai” lo schernì la compagna.
“Dici?” esclamò. “Guarda là!” A oriente, contro il cielo ormai imbrunito, si stagliava una bassa linea costiera. “Guam!” annunciò, con tono serio e nuovamente in possesso delle sue facoltà mentali.
Sally fu colta dalla disperazione. “Ho perso, allora” piagnucolò. “Per favore, Dick, vuoi essere così gentile da darmi un bacio prima che... che possa accadere qualcosa”.
Lister sapeva benissimo a cosa si riferisse la giovane donna. Si era domandato troppe volte cosa sarebbe avvenuto all'amabile Nightshade, perché, a dispetto delle sue rassicurazioni, sapeva che il capitano Cass conosceva la sua identità. I due giorni concessigli erano passati da tempo e Cass ormai aveva certo fatto rapporto sulla scomparsa di Lister.
La descrizione data dal capitano, unità alla foto sfocata nell'ufficio del biologo, sarebbe bastata senza ombra di dubbio a identificare la ragazza. Niente avrebbe potuto salvarla da una fucilazione l'alba successiva. Così la accolse fra le sue braccia con una tenerezza frutto della disperazione.
Capì le sue intenzioni giusto in tempo e le afferrò il braccio un attimo primo che l'unghia avvelenata del suo dito potesse raggiungerlo alla gola.
“Maledizione, Sally!” tuonò. “Adesso sarai tu ad assaggiare una dosa della tua stessa medicina. C'è solo un modo in cui eviterai di procurarmi guai...”.
Ma la donna intuì il proposito del compagno e prima che lui potesse afferrarle il dito, lo chiuse in un piccolo pugno ostinato, e gli si oppose con forza straordinaria. Alla fine, però, il biologo trovò il modo di vincerla: resistendo a tutti gli schiaffi che la ragazza gli sferrava con l'altra mano, piano piano, con forza e risolutezza, riuscì ad aprirle la mano. Sally pianse di dolore quando infine riuscì a conficcarle l'unghia nel palmo, poi gli occhi si spalancarono, fluttuarono e si chiusero; la giovane cadde in ginocchio e poi si accasciò ai suoi piedi.

Era ormai notte fonda quando la trasportò sull'incrociatore Dallas, rimasto in stallo a causa delle alghe subito fuori da Agana. Affidatala alle braccia del medico di bordo, corse a fare rapporto dal comandante in capo: disse che sapeva, grazie all'imbrunimento delle alghe, che il campo Beckerley del Khan in Alaska si era disattivato. Non ci fu neppure bisogno di cifrare il messaggio, visto che l'America deteneva ancora il segreto della trasmissione radio non intercettabile.
Meno di un'ora dopo arrivò la notizia che l'America aveva trionfato in Alaska; più tardi, durante la notte, giunse la notizia della morte del Khan, il cui cadavere era stato identificato con successo. La notizia fece il giro del mondo.
Già nel primo mattino, l'Asia fu scossa da rivolte e ribellioni, segno che l'Unione Asiatica si stava disintegrando. Era l'inizio della fine.
A bordo del Dallas si festeggiava felici la vittoria, ma Dick Lister non riusciva a esserne partecipe. Certo, aveva salvato l'America ed era diventato un grande eroe per la nazione, tanto che il presidente in persona gli aveva espresso il suo ringraziamento via radio.
Doveva fingere euforia, di partecipare con gioia alla festa. Ma due volti lo tormentavano attraverso quella baldoria: le esotiche caratteristiche orientali della ragazza che amava, e i lineamenti arcigni e inesorabili del capitano Cass. A dispetto del fatto che la guerra era ormai finita e vinta, a prescindere dal ruolo che Lister aveva esercitato in quella vittoria, Cass non si sarebbe mai permesso un istante di riposo, prima di aver messo a morte la spia regina del vecchio avversario.
Così, non appena fu in grado di farlo, il tenente si allontanò dai festeggiamenti e trascinò le gambe, pesanti come il piombo, fino all'ospedale della nave. Rimase qui con il dottore di bordo a guardare Sally, ancora priva di sensi.
"Bellissima ragazza la sua fidanzata" disse il dottore.
"Sì. Siamo stati rapiti insieme dalle spie del Khan, e lei è stata certo molto più brava di me nel permetterci la fuga. Le sue condizioni attuali sono dovute all'esaurimento fisico e, ovviamente, alla gioia". Sapeva benissimo però, che il capitano Cass avrebbe distrutto quel bel racconto.
"Beh" osservò il medico, "il vostro arrivo è stata realmente l'unica gioia derivata da questa guerra. Spero che lei sia nel giusto a ritenere risolto il problema delle alghe, perché restare fermi nel fango è quanto di più noioso esista sulla Terra. Ho visto soltanto un cadavere in questo periodo, e peraltro da molto lontano. Un giovane ufficiale ha provato ad atterrare con il suo aereo sopra la fanghiglia, una settimana fa, ma si è inabissato e non si è saputo più nulla di lui. Il corpo non è mai stato ritrovato".
"E' una cosa molto difficile ritrovare un cadavere in quella fanghiglia" riconobbe Lister, ricordando quello che avevano passato. "Si sa chi fosse?"
"Era... mi lasci ricordare... un certo capitano Jim Cass. Lo sappiamo visto che lo aspettavamo".
Il capitano Cass! Una settimana fa. Quindi Cass non era mai tornato in America. Era morto prima della fine dei due giorni che aveva concesso a Lister per risolvere la questione Sally/Nightshade. Quindi anche il fatto che conoscesse la vera identità della giovane donna era annegato con lui. Nessuno avrebbe mai potuto saperlo!
Con un sospiro di gioioso sollievo, Dick Lister cadde in ginocchio accanto alla ragazza che amava, ancora abbracciata dal sonno.